varie, 12 novembre 2013
New York per Sette - Il primo insediamento europeo là dove sorge New York è del 1613, nella zona che ora si chiama Lower Manhattan
New York per Sette - Il primo insediamento europeo là dove sorge New York è del 1613, nella zona che ora si chiama Lower Manhattan. Arrivarono gli olandesi che fecero un polo per il controllo dei commerci. Nel 1625 lo battezzarono Nieuw Amsterdam (Nuova Amsterdam). Subito cominciò la costruzione di un forte, denominato Fort Amsterdam. Nel 1664 gli inglesi conquistarono la città dandole il nome New York. Prima di tutti, nelle aree dove sorge New York, c’erano i nativi Lenape, cacciatori e pescatori, distribuiti in circa 80 villaggi. Il primo a entrare nella baia di New York fu Giovanni da Verrazzano nel 1524. Il primo a risalire il fiume, che poi prese il suo nome, fu l’esploratore Henry Hudson, nel 1609. New York sorge su un’area di circa 800 chilometri alla foce del fiume Hudson, in parte sulla terraferma e in parte su isole. Divisa in cinque distretti (boroughs): Manhattan, Bronx, Queens, Brooklyn e Staten Island. A New York ci sono 8.333.697 abitanti. La popolazione, secondo il censimento del 2010, è così suddivisa: bianchi di discendenze europee 33%; ispanici 29%; afroamericani 23%; asiatici 13%; nativi americani 0,5% New York, città cosmopolita in cui sono presenti quasi tutte le etnie del mondo. Gli americani chiamano la società multirazziale «melting pot» (crogiolo) o «salad bowl» (insalatiera). Nel 1909 il professor Ellwood Cubberley, docente di scienza dell’educazione a Standford, sintetizzava il melting pot con: «Impiantare nei bambini degli immigrati le concezioni anglosassoni della rettitudine, della legge, dell’ordine e della democrazia, affinché possano fondersi nella razza americana». Negli anni Ottanta dell’Ottocento si riversarono a New York circa 35 milioni di immigrati provenienti dall’Europa. Nel 1950 gli italiani erano il gruppo etnico più numeroso di New York. Little Italy, oggi scomparsa, stretta tra i confini di Houston Street a nord, Canal Street a sud, la Bowery a est e Broadway a ovest. Un quadrilatero dentro il quale gli esperti distinguevano le strade dalla concentrazione regionale prevalente: napoletani e calabresi intorno a Mulberry Street, siciliani verso Elizabeth Street. Al numero 420 di Tompinks Avenue, Rosebank, la casa-museo di Antonio Meucci. Dall’inventore, nel 1850, si fece ospitare Giuseppe Garibaldi, in fuga dopo la disfatta della Repubblica romana. Garibaldi si presentò dopo una lunga traversata sul vascello postale “Waterloo”, malconcio, il corpo scosso dai reumatismi, un braccio immobilizzato: «Nella traversata per l’America fui assalito da dolori reumatici che mi tormentarono durante gran parte del viaggio, e fui finalmente sbarcato come un baule, non potendo muovermi». Tra gli oggetti esposti nella casa di Meucci, la camicia rossa indossata da Garibaldi durante la difesa di Roma nel 1849; lo zucchetto dell’eroe, un suo bustino, donato al museo da Bettino Craxi. Nella Centoquindicesima Strada, ad Harlem, sorge la chiesa italiana Our Lady of Mount Carmel. Nello saggio The Madonna of 115th Street l’antropologo Robert A. Orsi riferisce che fino a qualche decennio fa, durante la festa della Madonna (16 luglio), gli italiani di New York trascinavano le loro donne fino all’altare costringendole a leccare il pavimento con la lingua. Gli americani giudicavano la pratica «rivoltante». Tra gli emigranti italiani a New York, Carlo Tresca, oratore anarco-sindacalista, editore del giornale Il Martello, assassinato in mezzo a una strada; Mario Buda, anarchico, che il 16 settembre 1920 fece esplodere una bomba a Wall Street; Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, operai, sindacalisti, accusati di aver ucciso un ufficiale americano, condannati a morte senza prove il 23 agosto 1927. Un giudice francese, durante il processo, definiva gli italiani «razza di borsaioli». Albert Camus quando vide per la prima volta Times Square nel 1946, subito dopo la guerra: «Sono appena emerso da cinque anni di notte e quest’orgia di luci violente mi dà per la prima volta l’impressione di un nuovo continente. Un immenso manifesto delle Camel alto sedici metri. Un soldato con la bocca spalancata dalla quale escono sbuffi di fumo vero. Una tale immensità di cattivo gusto sembrerebbe inconcepibile». Realizzata a Parigi dallo scultore Frédéric-Auguste Bartholdi, alta una cinquantina di metri, la statua della Libertà nel pugno stringe una torcia, simbolo della libertà degli americani che illumina il mondo. Sul capo, l’artista avrebbe voluto mettere un berretto frigio, emblema giacobino nella Rivoluzione francese (nell’antichità veniva donato agli uomini liberati dalla schiavitù). Scelse poi di infilare nellasua testa sette raggi di sole che s’irradiano nello spazio. Fonti d’ispirazione: il capo del Colosso di Rodi, il monumento a Clemente XIII scolpito in San Pietro dal Canova, la dottrina speculativa della massoneria, alla quale lo scultore era affiliato: «Il Grande Architetto dell’universo ha dato al mondo il Sole per illuminarlo e la Libertà per sorreggerlo». Nella mano sinistra, la statua impugna il Gran libro della legge, con incisa la data del 4 luglio 1776, giorno dell’Indipendenza degli Stati Uniti. Il 17 giugno 1885, stipata nella piccola nave Isère della marina militare francese, scortata dalla nave americana Uss Flore, la statua della Libertà fece il suo ingresso nel porto di New York. La mano destra con la fiaccola si trovava negli Stati Uniti dal 1876, esposta al pubblico per raccogliere fondi necessari alla costruzione del monumento. Secondo un senatore francese, lo scultore Bartholdi aveva scelto come modella per la statua della Libertà la propria madre. Secondo altri la sua amante, Jeanne-Emilie Baheux, alsaziana, conosciuta negli Usa e sposata qualche anno dopo. Nel 1909 Edward S. Martin paragonò lo Stato di New York a un melo, con le radici nella valle del Mississippi e il frutto a New York. Negli anni venti il termine fu riproposto dal cronista sportivo John J. Fitzgerald, che aveva sentito definire così l’ippodromo di New York: riportò come per gli scommettitori di corse dei cavalli New York fosse il circuito («la mela») più ricco a livello di guadagni. I musicisti jazz, nel corso degli anni Trenta e Quaranta spesso usavano questa definizione come una metafora del successo. Quando i concerti erano lontano da New York, si suonava «sui rami»; al contrario, suonare a New York significava suonare nella «grande mela». Il soprannome è diventato famoso in tutto il mondo negli anni Settanta grazie a una campagna di promozione turistica della città. Fra le attrazioni turistiche di New York, una parete del ristorante ”Umberto’s Clam House” (Umberto il vongolaro), dove sono visibili i buchi dei proiettili che il 6 aprile 1972 crivellarono il corpo di ”Crazy Joe” Gallo, mafioso italoamericano, intelligente, sempre ben vestito, lettore di Albert Camus. Dalle 22 e 26 di domenica 25 novembre 2012, per 36 ore consecutive, non si ebbe nessuna sparatoria, nessun accoltellamento o ferito. Il New York Police Department ci fece un comunicato: «Una simile giornata, così pacifica, non ce la ricordavamo dal 1949». Record negativo di omicidi a New York nel 1990: 2.245. Nel 2002, alla fine della cura Rudolph Giuliani con il programma di repressione «tolleranza zero» il numero era sceso poco meno di 600. L’anno scorso furono 414. «A New York fui stuprata sul tetto del mio palazzo, dove ero stata trascinata con la minaccia di un coltello sulla schiena» (Madonna). Nell’isola di Manhattan, tra Brodway e la Sesta Avenue, c’è la Ventottesima strada, abitata nell’Ottocento da editori ebrei e musicisti, soprannominata “Tin Pan Alley” (“Viale dei pentolini”), a causa del rumore proveniente dai pianoforti pestati da compositori dilettanti. Ai tempi in cui visse Withman (1819-1892), il ponte di Brooklyn non esisteva ancora. Per raggiungere Manhattan il poeta doveva salire su una piccola imbarcazione, e lungo il tragitto trovava ispirazione per le sue poesie. Coney Island, dove sorgeva il «più grande parco dei divertimenti», come era stato battezzato. Il nome deriva da una corruzione dell’olandese: i primi colonizzatori la chiamarono “Konijin Eiland”, cioè isola dei conigli. Per ogni abitante di New York ci sono almeno 12 ratti. Nel 2012 a Manhattan ci sono stati 52 milioni di turisti. A New York su ogni chilometro quadrato vivono 2,5 milioni di persone. Central Park, con un’estensione di 3,4 chilometri quadrati, contiene 26.000 alberi. A New York ci sono 12.778 taxi e 6.248 bus. Ci sono 1,8 milioni di auto e 75.000 incidenti stradali l’anno. Mortali: 288. Piste ciclabili: 676 chilometri. Cinema: 143. Bagni pubblici: 1.178 Ogni anno prende la metro circa un miliardo e mezzo di di viaggiatori. La rete è lunga 407 chilometri (27 linee e 476 stazioni). Rifiuti prodotti da un abitante di New York in un anno: 4,4 tonnellate. «Quando si è vissuti a New York per un certo periodo e la città è diventata un po’ casa vostra, non si trova più un posto che sembri altrettanto bello. Qui c’è tutto, gente, teatro, letteratura, editoria, import, affari, omicidi, aggressioni, ricchezza e povertà. Tutto di tutto» (John Steinbeck).