Stefano Righi, Corriere della Sera 12/11/2013, 12 novembre 2013
L’ENERGIA DI UN PAESE
L’idea fu di un professore, uno di quelli che fecero grande il Politecnico di Milano: Giuseppe Colombo. Dietro a 130 anni di storia c’è lui e quell’idea di modernità che lo tormentava quotidianamente. Fu per suo volere – condito con una legittima ambizione di arricchimento – che la mattina del 6 gennaio 1884, una domenica, in cinquanta si ritrovarono davanti al notaio Vincenzo Strambio di Milano: erano i soci fondatori della Società Generale Italiana di Elettricità «Sistema Edison».
A quell’appuntamento avevano iniziato ad avvicinarsi una paio d’anni prima, quando Colombo insegnava alla Società di Incoraggiamento di Arti e Mestieri di Milano, tenendo vere e proprie conferenze che completava con le cosiddette «Esercitazioni domenicali», un lavoro sette giorni su sette. Nel 1881 a Parigi si tenne l’Exposition Internationale d’Electricité , la più importante rassegna mai tenuta al mondo riservata a questa nuova invenzione dell’uomo, la luce elettrica. C’erano tutte le ultime novità. Thomas Alva Edison tre anni prima, con i denari di John Pierpont Morgan e della famiglia Vanderbilt aveva fondato a New York la Edison Electric Light company che all’Esposizione di Parigi occupava non uno, ma due interi padiglioni con le sue macchine. Quando vide le «Jumbo», le portentose dinamo che Edison faceva costruire a Glasgow, in Scozia, Colombo rimase quasi folgorato, tanto erano grandi e pesanti: 100 tonnellate. Il professore milanese era a capo del Comitato per le Applicazioni dell’Elettricità «Sistema Edison» in Italia e firmò subito, con la Compagnie Continentale, che deteneva i diritti per l’Europa sulle invenzioni di Edison, un accordo di licenza esclusiva per l’Italia. Colombo comprò tutto il necessario per allestire una centrale termoelettrica e partì per l’America.
Era talmente rapito dal genio di Edison, con il quale aveva iniziato a corrispondere, che andò a trovarlo a Menlo Park, nel New Jersey, dove Edison aveva allestito i propri laboratori dopo l’iniziale fortuna realizzata modificando il telegrafo. In America Colombo fu colpito dalle capacità di Edison, dalla vastità di quei laboratori e dalla straordinaria macchina industriale che il genio di Menlo Park aveva saputo creare, anche con una buona dose di spregiudicatezza, attorno a quei nuovi prodotti. Ricerca scientifica e applicazione industriale, il nucleo più profondo della ricchezza americana.
Colombo si fermò più di un mese: era a New York il 4 settembre del 1882 quando, al 225 di Pearl Street, Edison azionò la prima centrale termoelettrica al mondo, 24 dinamo che illuminavano la zona sud di Manhattan. Uno spettacolo che Colombo decise di replicare al più presto, a Milano.
Il progetto avanzò velocemente: dall’America partirono uomini e materiali, mentre la Banca Generale, uno dei grandi soci del Comitato, acquistò e mise a disposizione il vecchio teatro di via Santa Radegonda: lì sarebbe sorta la centrale di Colombo, proprio a fianco del Duomo, vicina a tutti i negozi più importanti dell’epoca, dai magazzini di abbigliamento dei fratelli Bocconi, che poi sarebbero diventati La Rinascente, al caffè Gnocchi e al Biffi. La centrale avrebbe fornito elettricità nel raggio di 550 metri e alla divinità pagana della modernità si sacrificò in quegli anni la maestosa bellezza del Duomo: un’orribile ciminiera in mattoni, alta 52 metri, venne costruita in pochi mesi proprio lì a fianco, per dare sfogo alle caldaie della centrale.
Le polemiche non mancarono, ma l’elettricità presentava un grado di sicurezza molto più elevato rispetto al gas e così la stagione operistica della Scala venne inaugurata, il 26 dicembre 1883, con il teatro completamente illuminato dalla luce elettrica. Fu un successo clamoroso, ne parlò il Corriere della Sera . Milano, dove l’illuminazione pubblica elettrica era realtà da qualche settimana, divenne simbolo di modernità, non solo in Europa ma nel mondo.
Tanto che prima della fine dell’Ottocento, la Edison siglò una convenzione con il Comune per la realizzazione e la gestione della rete elettrica dei tram, che avrebbe sostituito, con grande risparmio di costi, quella degli omnibus trainati dai cavalli.
Per assecondare la richiesta crescente di energia la società decise di abbandonare le centrali a carbone, come quella di Santa Radegonda e di trasformare in energia elettrica la forza dei fiumi lombardi, l’Adda su tutti. A Paderno venne costruita quella che sarà la seconda centrale idroelettrica al mondo dopo quella sul fiume Niagara, tra Canada e Stati Uniti e ne verranno costruite altre due in pochi anni. La società conobbe stagioni di crescenti fortune economiche, che neppure la nascita di ambiziosi concorrenti come la Sade del conte Volpi di Misurata, né il ventennio fascista, riuscirono ad annullare o a nazionalizzare. Su questo punto fu determinante l’azione di Alberto Beneduce, che guidò l’Iri e che, dopo la crisi del 1929, nazionalizzò le principali banche e imprese industriali, rilasciando però dopo un paio d’anni la Edison – di cui era consigliere di amministrazione – nelle mani dei privati e soprattutto della banca Feltrinelli.
Furono anni di profonda trasformazione. L’Italia che negli anni Venti del secolo scorso era ancora una nazione prettamente agricola, si presentò agli anni Sessanta come uno dei paesi più industrialmente avanzati al mondo. L’Edison e la sua energia elettrica non furono estranee a questa trasformazione. Se all’inizio fu soprattutto Giuseppe Colombo, poi vennero uomini quali Giacinto Motta, Carlo Esterle, Angelo Bertini ed Ettore Conti a guidare l’azienda mantenendo sempre l’elevatissimo livello qualitativo e di redditività. Le azioni della società, presto quotate in Borsa, venivano chiamate «la rendita ambrosiana», tanto era sicuro il flusso dei dividendi che ne accompagnava la vita.
Il 1962 con la nazionalizzazione di oltre un migliaio di aziende elettriche private e la nascita dell’Enel segnò la fine di una cavalcata iniziata ottant’anni prima. L’Edison, nonostante una fiera opposizione, venne spogliata di tutte le sue centrali eccetto quelle necessarie al funzionamento dei propri impianti industriali. Si salvarono le tre sull’Adda e poco altro. L’azienda dovette riconvertirsi verso la chimica e, forte dell’indennizzo statale ottenuto, arrivò a fondersi con la Montecatini nel 1966. Il gruppo, la cui prima guida sarà Giorgio Valerio, da 35 anni all’Edison, arriverà a contare 150 mila dipendenti all’inizio degli anni Settanta. Seguiranno le stagioni di Eugenio Cefis e di Mario Schimberni, fino all’esplosione dopo il matrimonio con Eni - che diede breve vita a Enimont - nell’atto finale della prima repubblica, con il fallimento del progetto di Raul Gardini. Ci vorrà Italenergia, con Fiat e i francesi di Edf, per recuperare all’inizio del nuovo secolo le competenze che Giuseppe Colombo, nell’Ottocento, aveva iniziato ad accumulare a Menlo Park.