Ida Bozzi, Corriere della Sera 12/11/2013, 12 novembre 2013
VIVO AVVENTURE TUTTI I GIORNI
Sarà perché Wilbur Smith si trovava a Milano in una mattinata radiosa di sole, ma intorno a lui, mentre accoglieva il sigillo della città offerto dal sindaco Giuliano Pisapia, vi era quasi un alone luminoso. Manda bagliori dagli occhi, questo autore bestseller nato nel gennaio 1933 nell’attuale Zambia, e non soltanto per aver venduto ben 122 milioni di copie nel mondo, 23 milioni in Italia, dei suoi 34 romanzi. C’è anche, certo, la gioia di ricevere le chiavi di una città che Smith ama molto, nella quale ha presentato una decina degli ultimi libri perfino prima di presentarli a Londra, regalando alla capitale dell’editoria italiana l’anteprima mondiale. Ma nella vitalità di quest’uomo dall’aspetto fragile ma dalla voce ferma c’è qualcosa di più. Appena finita la cerimonia nella sala di Palazzo Marino, proviamo a indagare sui motivi di quell’aria serena, mentre l’ultima giovane moglie Mokhniso (Smith è stato sposato quattro volte), gli siede di fronte e non perde una parola dell’intervista del marito.
Uno dei personaggi del ciclo di romanzi ambientato nell’antico Egitto (Il dio del fiume , Il settimo papiro , Figli del Nilo e Alle fonti del Nilo ) è Taita di Gallala, che all’inizio della quadrilogia è uno schiavo adulto e alla fine è un Longevo, cioè un anziano saggio di circa 150 anni, in viaggio alla ricerca del Tempio della Conoscenza. Qual è il suo rapporto con la longevità, e soprattutto, con la vecchiaia?
«Taita è un uomo molto vecchio — inizia Wilbur Smith — che ha avuto la fortuna di vedere nella sua vita tanta storia, una lunga sequenza di eventi. Tra l’altro, ha vissuto così a lungo che ormai è diventato parte di me. Noi invecchiamo ogni giorno che passa, e chi sfrutta al meglio il tempo è colui che vive la vita intensamente. Io penso che noi diventiamo più saggi a mano a mano che il tempo scorre, e che se si potesse vivere fino a cent’anni, beh, credo che potremmo raggiungere una sorta di perfezione».
Nella sua biografia si spiega che Smith era stato destinato dalla famiglia a un lavoro come contabile, e che suo padre lo picchiava se lo sorprendeva a leggere un libro; ma, discendente di una famiglia di combattenti, il giovane Wilbur si è ribellato e ha lavorato su pescherecci e baleniere, e perfino nelle miniere d’oro, piuttosto che sottostare al diktat paterno. Da quegli anni avventurosi sono venuti i personaggi, gli ambienti, gli intrecci appassionati dei primi libri. Ma ora è uno scrittore noto per la sua meticolosità, per la professionalità con cui siede alla scrivania ogni giorno e scrive pagine e pagine del nuovo libro. Tanto che l’editore, Stefano Mauri, durante la cerimonia di consegna del sigillo della città, racconta un aneddoto: «Wilbur è un professionista esemplare, non ha mai consegnato un libro in ritardo. Un giorno mi ha chiamato per scusarsi: doveva sottoporsi a un intervento, e prevedeva che avrebbe consegnato il nuovo romanzo in ritardo. Quanto in ritardo? Un paio di settimane appena! E invece anche in quell’occasione consegnò in tempo».
Dunque, la domanda spontanea è: dal momento che è uno stakanovista della scrivania, da dove nascono le idee e le avventure per i nuovi libri?
«Ma le avventure sono davanti agli occhi di tutti — sorride Smith, illuminandosi —, ogni giorno io lavoro ai miei libri, mi concentro intensamente e scrivo finché non ho finito quel che devo finire. Poi mi alzo e parto: fuori! Esco e vado nel mondo! È bello essere uno scrittore famoso e andare dappertutto, parlare con i piloti dell’aereo su cui viaggi, attraversare Israele o viaggiare in Africa, arrivare fin nelle regioni più lontane, parlare con tutti, e poi dedicarsi alle proprie passioni, alla cultura, all’arte, alla collezione di film di cui vado particolarmente fiero. E a mia moglie. La vita è un’avventura, e un’avventura molto bella, per me. Non capisco quelle persone che a quarant’anni sembrano più vecchie di quanto non sia io, morte, ferme, senza passione. Ecco, è la passione il segreto: c’è così tanto da scoprire, c’è così tanto da conoscere».
Il baluginio dei suoi occhi fa capire che questa non è solo una ricetta di giovinezza, ma che è anche il senso, a ritroso, dei tanti libri che ha scritto: comunicare ai milioni di lettori che lo seguono la passione per l’avventura e per la conoscenza di mondi e di epoche, che si tratti dell’Africa profonda o degli oceani battuti dai vascelli della Compagnia delle Indie, del coraggio di giovani avventurieri o della sete di sapere di anziani eroi. A questo punto, resta da chiedere una cosa: molti colleghi scrittori, giunti a una certa età, hanno annunciato il ritiro dalla scrittura. È il caso, recentissimo, di Alice Munro. Dobbiamo aspettarci anche da Smith, che ha pubblicato all’inizio dell’anno il suo nuovo romanzo Vendetta di sangue per Longanesi, un simile annuncio?
«Mai. Mai — risponde deciso Smith —. Io andrò avanti fino alla fine, finché potrò, a fare quello che faccio, cioè a scrivere. Certo, magari con il tempo ci metterò di più, sarà tutto più lento...».
Qui la moglie interviene sorridendo, e sommessamente dice al marito: «It won’t be slow. It will be fun ». Non sarà lento, sarà divertente.