Massimo Gaggi, Corriere della Sera 12/11/2013, 12 novembre 2013
SE LE BANCHE VIETANO DI CHATTARE IN UFFICIO PER SALVARE IL MERCATO
«Il cartello». «Il club dei banditi». I trader anglosassoni di mezzo mondo avevano scelto nomi sfrontati per le loro «chat room» finanziarie. Che adesso le grandi banche americane e inglesi, dalla JP Morgan Chase alla Barclays, vorrebbero rendere inaccessibili ai loro dipendenti che operano sui mercati. Sarebbe una vera rivoluzioni perché ormai questi canali di dialogo hanno invaso ovunque la comunicazioni nei «trading floor» e tra le diverse piazze finanziarie. Ma la mossa è comprensibile e, anzi, probabilmente doverosa, alla luce degli ultimi sviluppi delle indagini sullo scandalo dei tassi d’interesse manipolati. I tassi interbancari più importanti — soprattutto il cosiddetto Libor — «pilotati» proprio da questi trader: hanno alterato la dinamica dei mercati e poi si sono anche vantati in rete di averlo fatto. L’hanno fatta franca molto a lungo, ma hanno lasciato tracce digitali indelebili e, alla fine, sono stati incastrati dalle tardive indagini dei controllori dei mercati.
Cinque anni di ispezioni hanno alla fine portato a molte incriminazioni e a multe miliardarie nei confronti delle grandi banche che un paio di settimane fa hanno cominciato a sospendere molti loro operatori di alto rango nel mercato delle valute in tutto il mondo, da New York a Tokio passando per Londra. Altro rango ma bassa considerazione per il rispetto della legge. L’unica altra cosa elevata — che questi «broker» avevano in comune — era il senso di onnipotenza e l’illusione di impunità che, evidentemente, il loro tipo di lavoro favoriva.
Fatto sta che questi operatori non solo avevano dato alle loro «chat room» nomi che sono un invito alle polizie finanziarie di tutto il mondo a indagare, ma si scambiavano abitualmente battute esplicite sul modo in cui avevano alterato il corso dei mercati. Continua anche la trasmissione di informazioni sensibili che ognuno avrebbe dovuto tenere per sé e che, invece, venivano scambiate senza problemi coi concorrenti. Che, evidentemente, non erano più tali, visto che i «broker» erano legati da una rete di accordi sottobanco.
I loro dipendenti erano in combutta, ma i capi delle banche sostengono di essere stati all’oscuro di quello che avveniva nella periferia dei loro imperi finanziari. Questi istituti, però, hanno beneficiato delle attività di «trading» truccate e quindi hanno dovuto pagare comunque multe salatissime.
Il solo scandalo del «Libor» è già costato a cinque banche — JP Morgan, Citigroup, le inglesi Braclays e Royal Bank of Scotland e la svizzera UBS — ben 3,7 miliardi di dollari di multe. Le banche hanno sospeso i «trader» finiti nel mirino degli investigatori e delle «authority» di vigilanza, ma hanno procurato loro gli avvocati difensori. Ora, però, davanti alla pubblicazione dei messaggi registrati nelle «chat» coi loro dipendenti che addirittura si vantavano di aver alterato il funzionamento dei mercati e parlavano in modo molto esplicito anche di sesso e dell’uso di droghe pesanti, le banche vogliono dire basta.
Chiudere canali di comunicazione di questo tipo nell’era digitale è più facile a dirsi che a farsi. Ma le grandi istituzioni finanziarie, ormai, non hanno più scelta. Il più determinato è il capo della JP Morgan Chase, Jamie Dimon, che sta girando per le sedi delle sue banche sparse per il mondo, nel tentativo di cambiare quella che, prima ancora che una tendenza a delinquere, sembra essere una degenerazione culturale: la deflagrazione etica e mediatica che avviene quando una finanza sempre più rapace che vede solo la logica del profitto a tutti i costi, incrocia una rivoluzione tecnologia fatta di messaggi fulminei, espliciti, impossibili da occultare.
Risultato: comportamenti criminali che sono andati avanti per anni ad opera di «trader» che ormai si era assuefatti a reati che non erano più nemmeno percepiti come tali. Ma all’insaputa delle autorità che dovrebbero tenere sotto controllo i mercati. E i banchieri? Non c’è la prova che sapessero e le grandi multinazionali della finanza sono indubbiamente galassie immense e di enorme complessità, pressoché impossibili da controllare dal centro.
Certo che, restando al caso del banchiere più determinato ed esasperato, Dimon di JP Morgan, è impressionante l’elenco delle illegalità — dagli aiuti forniti al truffatore Bernard Madoff allo scandalo «London Whale» — delle quali il vertice era all’oscuro: sono almeno otto le indagini che il Dipartimento di Giustizia del governo di Washington sta compiendo sulla sola JP Morgan Chase. Che continua a essere considerata la banca americana più solida e meglio gestita.
Massimo Gaggi