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 2013  novembre 12 Martedì calendario

PALLA PRIGIONIERA– [IL CALCIO IN OSTAGGIO]


[più pezzi]

C’è una storia che tutti i calciatori conoscono, se hanno giocato almeno una stagione nei campi della Campania: la storia dell’arbitro di San Giuseppe Vesuviano, impiccato alla traversa. Erano gli anni ‘50 e pare che non avesse fischiato un rigore evidente. I tifosi entrarono in campo ed eseguirono la loro sentenza. Negli anni la vicenda ha assunto i contorni della leggenda, ma da allora chiunque viene a giocare da queste parti è bene che lo sappia: comandano i tifosi.
Avranno pensato al fantasma di quell’arbitro, probabilmente, domenica i 22 che sono scesi in campo, si fa per dire, a Salerno, nella “non gara” tra Salernitana e Nocerina. Un episodio che sarebbe di una gravità eccezionale se non fosse che di eccezionale, in quell’episodio, non c’è nulla.

In quel mondo a parte che è il calcio dilettantistico «si è formata una culla dell’illegalità, organizzata e non organizzata, un posto dove lo Stato è assente, sostituito da poche centinaia di persone che calpestano ogni regola e la passione dei tifosi comuni» dice Raffaele Cantone, magistrato, che due anni fa ha scritto anche un libro (Football Clan, con Gianluca di Feo, Rizzoli) per raccontare quello che dovrebbe essere un ossimoro e invece è un connubio perfetto: calcio e mafia, sport e delinquenza.
Un sociologo, Pierpaolo Romani, ha fatto una lunga ricerca e scritto un volume nel quale ha censito tutte le società che nelle ultime stagioni hanno visto i propri dirigenti vicini a organizzazioni mafiose: sono almeno 15, dalla Liguria alla Sicilia, la maggior parte al Sud.

LA FARSA
A sentire gli investigatori quello che è accaduto domenica a Salerno c’entra poco con la criminalità organizzata e molto di più con quella diffusa. Non ci si è mossi per denaro ma solo per campanile. I tifosi della Nocerina tenevano troppo a quella partita per non potervi partecipare, come aveva invece deciso la Federazione. E allora hanno fatto capire ai calciatori, più con le buone che con le cattive, che sarebbe stato meglio non scendere in campo. Per solidarietà. È un fatto che la curva della Nocerina è infiltrata dalla camorra e che una parte di essa controlla il mercato della spaccio. Ed è un fatto che qualche mese fa è stato arrestato (appalti truccati) il presidente, che per questo si è dovuto dimettere: Giovanni Citarella. Ma questi due fatti, nella farsa di domenica, sono quasi laterali. Avete presente l’aereo dell’illegalità, quel monoposto giallo che trascinava la scritta: «Striscione X Nocera, gli Ultras»? «Certo non l’hanno pagato i tifosi », osserva un investigatore. Alludendo alla possibilità che lo abbiano fatto direttamente i giocatori, o la società. «Questa è una vicenda molto peggiore rispetto a una “semplice” storia di mafia — dice Cantone — nonostante l’allarme delle forze di Polizia, la Federazione per sciatteria ha inserito nello stesso girone due squadre con un’ostilità del genere, senza essere in grado di gestirla. Il risultato è un’irrecuperabile figuraccia internazionale. Poi c’è la politica che, davanti a tutto questo, gira la testa dall’altra parte».

LE INCHIESTE
Le mafie, in questo caso la camorra, della vicenda Nocerina-Salernitana non sono la causa. Sono il presupposto. Gli ultrà fuori controllo, alla fine, non sono che la conseguenza, l’espressione fisica delle ambizioni dei criminali e della distrazione complice della classe dirigente del pallone. Decine di inchieste della magistratura che da Palermo a Roma stanno cercando di mettere a fuoco le relazioni pericolose. Un lavoro solitario, svolto con l’ausilio di strumenti legislativi monchi («nessuno può pensare di affrontare questi temi con i Daspo» dice Cantone). La Direzione nazionale antimafia, e due anni fa anche Libera di don Ciotti, hanno fatto un lavoro specifico per raccontare i collegamenti tra calcio e mafia. «A spingere le organizzazioni sono due motivi: il business e il controllo del territorio » dice Romani. «Per questo hanno due tipi di esigenze: controllare le curve e dunque la squadra. E in alcuni casi avere in mano direttamente le società». Il denaro si fa principalmente con le scommesse sportive: a Bari i tifosi hanno imposto al club, all’epoca in A, di perdere perché avevano scommesse contro. La Camorra (e in particolare i clan D’Alessandro e Di Martino) ha invece deciso di investire direttamente su una società di scommesse (la Intralot).

IL POTERE
Il calcio, però, specialmente nelle comunità più piccole, non è questione soltanto di soldi. Ma anche di prestigio. Al matrimonio di un capobastone era seduto in prima fila Salvatore Aronica, calciatore di serie A, all’epoca in Calabria. Le indagini hanno raccontato proprio a Napoli, per esempio, di come un difensore (Santacroce) ossequiasse un bossetto locale ai domiciliari portandogli a casa le magliette firmate della squadra. «In alcuni casi — ha raccontato il procuratore aggiunto Giovanni Melillo — abbiamo evidenze di come i giocatori usino la curva per fare pressioni sulla società in coincidenza con le scadenze di contratto». «Negli ultimi campionati — ha spiegato il procuratore capo di Lecce, Cataldo Motta, alla Dna — ci siamo accorti come alcune società di Eccellenza avessero direttamente contatti con esponenti della Sacra corona unita». I Coluccia avevano puntato sul Galatina, lo Squinzano era vicino alla famiglia di Zu Peppo Pellegrino, il Taurisano nelle mani del genero di Pippi Calamita. «Il presidente di una squadra non lo fa certo per denaro — spiega il procuratore aggiunto di Reggio, Nicola Gratteri — perché non ci guadagna, ci rimette: lo fa per un’esternazione del potere, si siederà così nella tribuna con il medico, il farmacista, il magistrato. È quello che cerca la mafia ». «Più misterioso è invece il motivo per cui il calcio si lasci controllare in questo modo», dice Cantone. E forse, nella risposta a questa domanda, c’è la strada verso la soluzione del problema.

Giuliano Foschini; Marco Mensurati

PALLA PRIGIONIERA– [NOI, I PEGGIORI D’EUROPA ANATOMIA DI UNA RESA]–

QUELLA che per noi ben pensanti è una sconfitta (dello sport, della convivenza civile, della legalità, dello Stato) per gli ultrà è una vittoria, e come una vittoria l’hanno festeggiata in piazza. Quello che per noi rappresenta un punto di non ritorno, l’ennesimo, per gli ultrà è un passo avanti. I fatti di domenica sono noti. Di nuovo c’è la testimonianza di un calciatore della Salernitana che ha visto gli avversari piangere nel sottopassaggio, prima di andare in campo con più di mezz’ora di ritardo e un comunicato degli ultrà di Nocera che smentiscono ogni forma di minaccia ai giocatori e, con la pomposità del caso, si sentono difesi e rappresentati da “undici ragazzotti forestieri” che grazie al loro gesto “diventano grandi e nocerini”.

Amici della zona mi dicono che la partita più a rischio non è il derby tra Salerno e Nocera (distanza km. 17) ma tra Nocera e Pagani (che confinano). Separare tre squadre in due soli gironi, come secondo Lotito avrebbe dovuto fare la lega Pro, non è possibile, almeno due sarebbero rimaste insieme, e comunque, visto che ci sarà sempre un sindaco a garantire l’alta civiltà dei suoi concittadini, prendiamolo per buono. Suppongo che un paganese possa andare a bere un caffè a Nocera, o un paganese e un nocerino a mangiarsi insieme una pizza a Salerno, in tutta serenità e senza schieramenti di polizia. Perché non succede quando c’è di mezzo una partita di calcio? Perché gli ultrà hanno bisogno di nemici. Del calcio che avvicina, delle famiglie negli stadi non gliene frega nulla, sono favolette senza senso. Se ne stanno buoni solo quando incontrano ultrà gemellati, alleati. In quel caso i cori e gli insulti li fanno contro terzi.
Ci sono stati troppi morti negli stadi italiani: da razzo, da coltello, a Roma, a Milano, a Genova, ci sono stati quattro morti su un treno, a Salerno, e molotov su un treno a Firenze. Un poliziotto che uccide il laziale Sandri, un catanese che uccide il poliziotto Raciti. Ci sono stati assalti alle caserme, sassaiole nelle stazioni, violenze sui vagoni. Dopo l’omicidio di Raciti era necessario un giro di vite, ma oggi dobbiamo dire che non è servito a nulla, che il tifo ultrà è una ma-lattia endemica che il sistema ha spesso finto di combattere e, quando ha pensato di avere le armi giuste, le ha ritrovate spuntate. Siamo a livello sudamericano, nell’Europa occidentale nessuno sta peggio di noi. E questo, evidentemente, non dipende solo da società colluse, che con una mano prendevano le distanze da “certe frange” e con l’altra le omaggiavano di biglietti e quattrini, in teoria per le coreografie, in pratica per non inimicarsele. Tanto più che erano buona manovalanza per riportare sulla retta via il calciatore che non faceva vita da atleta o per rompere le corna a qualche giornalista scomodo, o anche per manifestazioni di piazza non legate al calcio.
La legge-Maroni, i biglietti nominali, la tessera del tifoso: un buco nell’acqua. Quelli che sognano di tornare alla domenica della buona gente leggono di 10, 20, 30 Daspo e si sentono sollevati. Sappiano che basta un ricorso al Tar e quasi tutti i Daspo svaniscono, spariscono come gli steward quando i tifosi del Napoli decidono di sfasciare i cessi a Torino (un classico) e di buttare i pezzi di sotto. E capisco gli steward, come capisco i giocatori della Nocerina. Il questore di Salerno garantiva incolumità nello stadio di Salerno, certo. E il giorno dopo? E dopo una settimana? Il calcio in blocco ha alzato le braccia di fronte all’ipotesi di tante curve chiuse negli stadi, in tanti stadi, se non in tutti. Gli ultrà hanno capito che il loro potere era aumentato e si regolano di conseguenza, sono loro a dettare le condizioni e a fare la voce grossa. Loro allo stadio entrano sempre e comunque, loro decidono se processare pubblicamente i giocatori o l’allenatore, loro stabiliscono il tasso di dignità necessario per vestire una maglia, loro si ergono a difensori dell’onore. Gli altri, i non talebani, stiano pure a casa.
Non è un discorso di nord e sud. A Brescia, a Genova, a Roma (punto di non ritorno si disse anche quando saltò quel derby, e siamo sempre lì) è un rosario di brutte storie. Se i pullman delle squadre, in serie A e figuriamoci in quelle più giù, non fossero massicciamente scortati non arriverebbero o partirebbero interi da uno stadio. Ora cosa succederà? Che i più facili da colpire e quindi i più stangati saranno i giocatori della Nocerina. Che s’invocheranno pene più severe, o almeno un’educazione allo sport (potrei dire alla convivenza) che nessun governo s’è mai sognato di proporre. Si sa che mancano i fondi e si sa che siamo sul fondo. Si sa che l’Italia ha problemi più grandi da affrontare, e intanto questo problema che era piccolo (tranquilli, li conosciamo tutti, sono quattro gatti) è diventato grande. Di estrema attualità, anche se fra pochi giorni non ne parlerà più nessuno, come succede regolarmente e tristemente da una quarantina d’anni.

Gianni Mura

ALLO STADIO CONTINUA IL RICATTO: PAGA LA JUVENTUS CURVE CHIUSE PER I CORI CONTRO I NAPOLETANI–

Senza scampo: dalla vergogna di Salerno alle curve della Juventus chiuse. Il nostro calcio sprofonda nella violenza, nei ricatti, nella prevaricazione, nelle polemiche, con accuse incrociate e nessuna assunzione di responsabilità. Il giudice sportivo della serie A, Giampaolo Tosel, ha deciso ieri di cancellare la condizionale (e per tutta la stagione) al club di Andrea Agnelli dopo i cori discriminatori degli ultrà bianconeri nella partita con il Napoli. Curve sud e nord chiuse quindi per Juve-Udinese del 1 dicembre e curva sud chiusa per Juve-Sassuolo del 14 dicembre. Un danno anche d’immagine per l’unico club italiano ad avere uno stadio di proprietà. Ma contro i cori c’è poco da fare. Stavolta, proprio in occasione della sfida col Napoli di sabato scorso, gli idioti si sono rifatti vivi. I tre ispettori della Procura federale, appostati a centrocampo e ai lati delle panchine, non hanno avuto dubbi, né per “dimensione, né per percettibilità” dei cori (i soliti: il Vesuvio, il colera...). E il giudice sportivo, in base alla nuove norme, non ha avuto alternative. A inizio stagione era previsto l’automatismo: in caso di cori di discriminazione, subito la curva chiusa, poi l’intero stadio per la recidiva e, come terza sanzione, la sconfitta a tavolino. Poi i club si sono ribellati e la Figc ha cambiato la norma in corsa: ma, come si è visto, anche la condizionale non ferma gli ultrà ricattatori.
Quanto alla farsa della Nocerina, ora rischia (oggi il giudice) di essere esclusa dal campionato di Lega Pro. Giancarlo Abete, n. 1 della Figc, è stato durissimo con i dirigenti campani: «Non dovevano fare scendere in campo la squadra in quelle condizioni ». E li accusa di «immaturità, ignoranza, irresponsabilità». I tesserati rischiano, per illecito, almeno due anni di squalifica. Il presidente del Coni Malagò attacca la Lega Pro che si chiede: come sono arrivati quei 200 violenti sotto il pullman della Nocerina? Chi ha pagato le magliette («onore a Nocera») e il passaggio aereo sullo stadio? Non bastano venti Daspo, l’ordine pubblico è stato gestito malissimo (a che serve allora la tessera del tifoso?) e il club campano adesso rischia di scomparire, travolto dalla vergogna e da un manipolo di violenti. Che hanno festeggiato in piazza.

Fulvio Bianchi