Marco Ansaldo, La Stampa 12/11/2013, 12 novembre 2013
LO SPECIALISTA
Ci sono punizioni per modo di dire e altre che affidate al piede giusto diventano davvero punizioni per chi le subisce. Quelle di Andrea Pirlo appartengono alla seconda categoria. Non sono colpi naif, frutto empirico dell’estro e della sensibilità del piede. Se si chiede a Maradona, a Platini o a Baggio come impararono a calciare da fermo risponderanno che è il risultato di mille tentativi fatti in allenamento. Pirlo no. Da bambino si allenava a tirare oltre il divano del salotto per colpire un punto nel muro ma oggi dietro le sue esecuzioni c’è uno studio anche se non è un Nobel della fisica e l’«effetto Magnus», che varia la traiettoria di un corpo che ruota in un fluido in movimento, l’ha conosciuto dopo e non prima di averlo applicato inconsapevolmente.
Cominciò quando stava al Milan e vedeva in tv Juninho Pernambucano, il brasiliano del Lione. «La ricetta della magia che stavo inseguendo non dipendeva dal punto in cui veniva colpita la palla, ma dal come. Juninho non la prendeva con tutto il piede bensì con tre dita, la colpiva da sotto e il piede andava tenuto il più dritto possibile e poi rilasciato con un colpo secco». Così Pirlo racconta, nell’autobiografia scritta con Alessandro Alciato, il momento in cui carpì il segreto. Poi lo fece suo con ore di allenamento. Quella contro il Napoli, la «maledetta» come l’ha battezzata, è stata la punizione più perfetta e probabilmente la più difficile delle 9 che ha segnato in tre stagioni alla Juve (in totale sono 24 in serie A, a quattro dal record di Mihailovic).«Ho calciato bene e ho trovato la rete», ha detto, analisi povera di una esecuzione non banale. Era poca la distanza, a 20 metri dalla porta. «Entro certi limiti - spiega Pirlo - più si è lontani e più il pallone si abbasserà velocemente». In questo caso invece tra la barriera e la linea di porta c’era appena una dozzina di metri. Come gli sia riuscito di dare forza alla palla per alzarsi oltre le teste e calare in così poco spazio senza curvare ma viaggiando dritta verso l’angolo alto è la bellezza e la quasi unicità dell’esecuzione. Una cosa del genere la fece Maradona contro la Juve da una distanza persino più ridotta ma fu una prodezza tanto rara che la si ricorda ancora.
La scelta della soluzione è istintiva. L’importante è variarla. Pirlo ha segnato facendo passare la palla a fianco della barriera del Catania nel febbraio 2012 («Avevo visto che non copriva bene il palo nascosto al portiere e infilai quello spazio»). Beffò quelle del Siena e del Parma tirando rasoterra per farla passare sotto il piede di chi sta in barriera e per istinto salta. Contro la Roma di Zeman infilò un varco tra le gambe di Burdisso. Altrimenti quando tira da sinistra, lui che è destro, segna scavalcando le teste per mettere in rete con una traiettoria che curva verso il palo non coperto dal portiere. Abbiati è stata l’ultima vittima colpita in questo modo. Solo una volta Pirlo ha provato il tiro che è stato fatale al Napoli. È stato a fine ottobre, ancora con il Catania. Stessa posizione, solo che il pallone non è andato dritto nell’angolo ma ha curvato leggermente verso il centro della porta. «Per me - confessa - il massimo è fare gol dopo aver visto la palla volare a pochi centimetri dalle teste dei difensori che la vedono ma non la possono fermare». Ora dovrà esaltarsi in Champions League dove non ha ancora segnato con la Juve. «Ci proverò, ma intanto è stato importante dare un segnale forte a chi ci contrasta in campionato».