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 2013  novembre 12 Martedì calendario

GALLO: «DOPO IL “CONSIGLIO" DEGLI ULTRAS HO ABBANDONATO LA PANCHINA DEL BRESCIA»

Non solo razzismo verbale: gli ultrà e­rano già entrati a gamba tesa sul cal­cio italiano in estate, impedendo al­l’ex bandiera dell’Atalanta, Fabio Gallo, di accettare il ruolo di viceallenatore del Bre­scia. Prima che anche Marco Giampaolo, tec­nico scelto dalla società, si dimettesse in di­saccordo con la piazza, Gallo aveva addirit­tura cambiato mestiere, in attesa magari di una nuova chance in panchina.
I fatti di domenica a Salerno le hanno fatto rivivere il suo sabato 6 luglio?
«In parte sì. La Digos dovette addirittura or­ganizzare, in un centro sportivo, un incon­tro con 8-10 esponenti della curva brescia­na, miei coetanei o anche più vecchi: erano già capi tifosi quando giocavo a Brescia. Del­la società non c’era nessuno, solo gli ultrà, io e due poliziotti...».
Perché le chiesero di non affiancare Giam­paolo in panchina?
«Sono stato una bandiera dell’Atalanta e per due stagioni anche il capitano. Poteva crear­si un “problema ambientale”, dissero. A­vrebbero contestato tutti i giorni la mia pre­senza al campo. E pensare che da giocatore il Brescia mi aveva valorizzato per tre sta­gioni, poi, ceduto ai nerazzurri per 2 miliar­di e mezzo più la metà dell’attaccante Sau­rini. Nel ’95 erano cifre elevate...».
La minacciarono apertamente?
«Il loro era un “consiglio” concreto. Avevo già percepito in anticipo l’ostilità, Giampaolo non le dava molta importanza. Sui siti in­ternet bresciani si scatenavano leggende: scrissero che avrei sputato sulla maglia del­le rondinelle, che ne avrei parlato male, co­sì in quella occasione mi presentai con la rassegna stampa dal ’95 in poi, curata da un giornalista dell’Eco di Bergamo: in nessun articolo diffamavo il Brescia né i tifosi. Nean­che gli accusatori ricordavano bene, cerca­vano solo un pretesto».
Era mai capitato un paradosso del genere, nel calcio italiano?
«Magari in Lega Pro, comun­que non si è saputo. Nelle pri­me due categorie mai la piaz­za aveva condizionato la scelta di un tecnico perché ex della società rivale».
Poteva essere una sfida. Per­ché non l’ha accettata?
«Non volevo soffiare sul fuo­co e dare altri problemi a Giampaolo, già si era verifi­cata una situazione poco carina alla sua presentazione. Ho grande stima per il mister, che ho avuto come alle­natore per due stagioni a Treviso, vincemmo l’allora Serie C1 e ci salvammo in B. Quella de­cina di ultrà a suo dire rappresentavano tut­ta la Curva, nei fatti secondo me non sono più di 600 persone. Dieci giorni dopo sono stato a Vinovo per seguire gli allenamenti della Ju­ventus, due bresciani veri mi dissero che si vergognavano per l’accaduto».
Il calcio è ancora ostaggio di queste Curve?
«Purtroppo sì, anche le intimidazioni ai gio­catori della Nocerina confermano quello che nessuno vuole dire: una minoranza condi­ziona tanta gente che vuole andare allo sta­dio. La critica va fatta sempre in modo civi­le, senza prevaricazione. A me hanno impe­dito una possibilità di lavoro, di crescita pro­fessionale ed economica, volevo affiancare uno fra i tecnici più quotati d’Italia».
Il Brescia sta dalla parte dei facinorosi?
«Mi attendeva un anno di contratto. Nean­che sono andato a sottoscriverlo, nonostan­te gli inviti del presidente Gino Corioni e del direttore sportivo Iaconi. Non aveva senso speculare su questa situazione. Brescia è un ambiente difficile per fare calcio, lo era an­che 20 anni fa, quando giocavo».
Lei ora ha lasciato il calcio per sempre?
«No, vorrei ancora fare l’allenatore, in ma­niera professionale. Ho rinunciato a 40mila euro netti di stipendio per un anno, era il mio debutto in Serie B, ancorché da vice. O­ra mi occupo di consulenza assicurativa nel campo della sanità e della previdenza, in pro­vincia di Verona. Ho ricominciato a studia­re imparando un lavoro nuovo».
Chi ha solidarizzato con lei?
«Nessuna telefonata è arrivata dall’Associa­zione allenatori, neanche dal presidente Renzo Ulivieri, mio docente al master di Co­verciano, perciò non pagherò la quota di iscrizione. Neppu­re il sindaco di Brescia, Emi­lio Del Bono, mi ha chiama­to. È come se la città avesse a­vallato quell’atteggiamento di pochi, chiedevo a tutti la con­sapevolezza della situazione. Silenzio anche da parte di Da­miano Tommasi, al vertice dell’Assocalciatori...».
È pentito di avere ceduto al­la contestazione preventiva?
«No, la qualità della mia vita è più impor­tante. Ma resta il fatto che a me è stato ne­gato un diritto al lavoro».
Può accadere solo a Brescia per un ex ata­lantino o fra salernitani e nocerini?
«Nessuna rivalità forse è sentita così tanto. E­sistono bergamaschi fidanzati con bresciane ma la settimana della partita non si parlano».
Come si è lasciato, con quei sostenitori co­sì accesi?
«Non li ho più rivisti né sentiti. Ho stretto lo­ro la mano, da persona a posto. Mi auguro soltanto che nessuno di essi debba cercare lavoro a Bergamo. Sarebbe brutto se qual­cuno glielo negasse per campanilismo, com’è successo a me».