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 2013  novembre 12 Martedì calendario

LA MIA SECONDA VITA CHE VA LISCIA COME L’OLIO


Dai suoni concitati e dai decibel in libertà della televisione alla produzione dell’olio, la «musica della terra». È una strana parabola quella di Giampaolo Sodano, una lunga carriera da giornalista, già direttore di Rai Due e Canale 5, presidente della Sacis, amministratore delegato Sipra, presidente della Eagle Pictures, vicepresidente del Gruppo Sitcom. Una perfetta storia di una metamorfosi e di una rigenerazione, di una “second lite” nata casualmente e di una passione: quella per l’olio e la campagna.
Un’immersione nei valori e nei profumi della terra che non si è tradotta nel classico copione del manager che “gioca” a mettere in piedi il perfetto agriturismo, un piccolo paradiso artificiale ma è diventata una vera e propria attività imprenditoriale nel campo della produzione dell’olio extravergine di oliva di alta qualità, attraverso la creazione de L’Olivaia, azienda agricola certificata Bio e Dop sui colli della Tuscia, e del Frantoio Tuscus, sulla antica via Cassia. Una impresa artigiana che ha ottenuto premi importanti ed è ormai approdata con le sue etichette nella grande distribuzione e sui mercati esteri.
Direttore, come nasce questa passione per l’olio?
«Casualmente. Nel ‘92 comprai un piccolo podere a Nepi. Per me che sono nato nel cemento alla periferia di Roma fu una gran bella novità respirare davvero. Lo presi proprio per quello: per avere uno spazio in cui riavvicinarmi alla natura».
Perché proprio a Nepi?
«Mi proposero un posto a Cetona, bellissimo e anche un po’ radical chic, ma mia moglie mi impose di non allontanarmi a più di mezzora da Roma. Pensai: ho due ettari a disposizione per mettere su un bel giardino. All’inizio somigliava più a un pascolo, in verità. E mia moglie, che è architetto, aveva l’occasione di disegnare casa sua».
Quel giardino nel tempo o diventato il suo lavoro.
«Per i miei 50 anni mia moglie mi regalò un trattore. Forse era un segno del destino. Nel ‘96 il vicino decise di cedere il suo terreno e avendo un diritto di prelazione decidemmo d’esercitarlo. Nel giro di qualche anno mi trovai con 20 ettari su cui avevamo piantato settemila olivi. Nel ‘99 per chiudere il cerchio avvenne la stessa cosa con un frantoio. Ce lo proposero e con un po’ di incoscienza decidemmo di improvvisarci “frantoiani”».
Come fu l’approccio con la produzione e la lavorazione dell’olio?
«Impegnativo. Con le dimissioni, prima dalla Rai e poi da Mediaset, avevo a disposizione tutto il tempo che volevo. Mia moglie si appassionò, lasciò l’università dove insegnava da 27 anni e insieme decidemmo di provarci davvero, trasferendoci a vivere nel podere. La passione stava crescendo e io decisi di fare un corso sull’uso delle nuove tecnologie. Quando si trattò di fare il grande salto io ero molto dubbioso. L’ingegner Pieralisi mi disse: “come può avere paura lei che ha studiato e ha fatto il manager tutta la vita?”. La paura, però, era tanta anche perché iniziammo a fornire il servizio del frantoio anche ad altre aziende e questo rappresentava una grande responsabilità».
Alla fine questo percorso a quale traguardo l’ha portata?
«A vincere le tre olive di Slowfood nel 2009 e a ottenere la distribuzione in Esselunga del mio olio Tuscus».
L’olio italiano è una eccellenza che resiste alla crisi?
«Sì, il settore tiene, il nostro olio rappresenta un’aristocrazia alimentare, interpreta l’italianità meglio di qualsiasi altro prodotto, porta con sé orgoglio, tradizione, mediterraneità. Il problema è individuare il vero olio italiano e non fidarsi dei cosiddetti grandi marchi».
I nostri marchi storici sono sotto attacco?
«In sostanza li abbiamo persi quasi tutti. Grandi gruppi oleari e banche spagnole hanno rilevato marchi importanti come Bertolli e Carapelli. La Spagna – che per quantità è il primo produttore mondiale – è stata costretta a comprare grandi marchi italiani per vendere il proprio olio per il quale non riusciva a trovare un posizionamento soddisfacente in molti mercati esteri».
Gli italiani sono grandi consumatori. Come si fa ad acquistare un vero olio italiano di qualità?
«Purtroppo sul mercato interno di olio davvero italiano ce n’è ben poco. Oggi in Italia ci sono tanti piccoli e medi produttori di alta qualità. E più si è piccoli, più si è esposti a rischi, l’Italia come sistema-paese deve cercare di tutelare le sue eccellenze. Come mercato interno consumiamo circa un milione di tonnellate di olio, ma ne produciamo la metà. Per garantirsi un acquisto di olio italiano è importante leggere l’etichetta e stare attenti alla dizione “miscela di oli comunitari” o “extracomunitari”, oppure “olio extravergine di olive italiano” o “100% olio italiano”. Bisogna guardarsi da prezzi eccessivamente bassi, una bottiglia di extravergine italiano non può stare sullo scaffale a meno di 6 euro. Ne va della tutela della nostra tradizione alimentare e culturale. Ma anche, più prosaicamente, della salute dei consumatori».