Rachele Gonnelli, L’Unità 10/11/2013, 10 novembre 2013
GRILLO SCONFESSA I SUOI E DIFENDE LE MULTINAZIONALI WEB
Tassare il web. Uno degli emendamenti al decreto di delega fiscale presentato da Francesco Boccia del Pd e passato con il voto favorevole di 78 parlamentari grillini, sta scatenando una serie incrociata di polemiche e palleggiamenti da ping pong. In particolare il rimbalzo che ha spiazzato i giocatori è quello di Beppe Grillo, che su questa questione ha di nuovo disconosciuto l’operato dei «cittadini eletti», un po’ come è successo per la vicenda della richiesta di soppressione del reato di immigrazione clandestina.
Ora bisogna chiarire che quando si parla di introdurre una forma di tassazione del web non si parla di utenti ma degli utili di grandi corporation come Google, Amazon, Apple o Facebook. La tassa da introdurre viene infatti chiamata comunemente «Google data tax» o in versione più corta Google tax. L’idea di chiedere a questi grandi colossi di internet di adeguare il prelievo fiscale ai fatturati ottenuti nel Paese in cui vengono realizzati non è nuova ne italiana. In Francia è da oltre un anno che il Partito socialista, al governo, sta cercando il modo di recuperare un po’ più delle misere briciole che Google dà alle casse della République a fronte di oltre 26 milioni di utenti francesi e centinaia di milioni di dollari di proventi. Ed ha individuato una forma di prelievo simile alla Tobin tax, la tassa sulle transazioni finanziarie.
Ma è da un liberale come il premier britannico David Cameron che è stato lanciato il vero guanto di sfida, al Wto di Davos. «Sono un liberale, non mi piace mettere le tasse sulle società ha esordito ma credo che sia giusto che queste diano un giusto contributo al Paese nel quale operano».
In Italia soltanto Google ha guadagnato qualcosa come 52 milioni di euro, arrivando a poca distanza solo come introiti pubblicitari alla concessionaria della Rai, la Sipra, e di tutto ciò pagando al fisco appena 1,8 milioni. L’idea del Pd Boccia è di chiedere alle big data company di aprire la partita Iva e pagare la tassa sul valore aggiunto. Ed è chiaro che in questo modo non dovrebbero utilizzare fiscalità di favore come fanno adesso, intestando la titolarità e la residenza dell’azienda in paradisi fiscali come le Cayman oppure dove si pagano meno tasse come in Irlanda. Dovrebbero quindi avere una sede legale e fiscale anche in Italia. Fin qui la proposta del Pd che ha ottenuto il voto favorevole di 78 parlamentari 5Stelle, tra i quali anche l’attuale capogruppo a Montecitorio, il fedelissimo Alessio Villarosa e la capogruppo in commissione Finanze Carla Ruocco. E sulla quale, così come in molti altri Paesi europei che si stanno ponendo il problema, probabilmente si accenderà un contenzioso a colpi di ricorsi da parte delle multinazionali del web.
Il fatto è che a Grillo tutto ciò non piace, pollice verso. La sgridata ai suoi da parte del leader e del suo guru Roberto Casaleggio, imprenditore del web anche lui, è arrivata in privato e ha ammutolito i diretti interessati. Sull’unico blog autorizzato del Movimento, quello di Beppe Grillo, è soltanto comparsa la reprimenda della rivista statunitense Forbes. La tesi del magazine, solitamente molto vicino alle lobby di Big Data, è che trattandosi di servizi, per altro virtuali e quindi tanto più immateriali, ed esistendo trattati internazionali come il Trattato di Roma che garantiscono la circolazione libera di capitali e servizi, le tassazioni nazionali non sarebbero applicabili.
Si dispiace di questa sconfessione l’estensore dell’emendamento, presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia. Per lui la web tax «è soltanto una misura di equità fiscale». «Google, Amazon e altre multinazionali che operano in Italia – sostiene Boccia – sono aziende straordinarie che hanno contribuito a cambiare i tempi che viviamo. Ciò non toglie che devono pagare in Italia le tasse su ciò che guadagnano in Italia. Non mi stupisco che nel Movimento 5 Stelle ci siano colleghi che ragionano e che la pensano così e ne ho la prova ogni giorno per l’ottimo lavoro svolto dagli stessi deputati in commissione Bilancio. Sono sconcertato dal fatto che si vada dietro a un’interpretazione folle della rivista Forbes, notoriamente non lontana dai colossi dell’informatica, per cui ognuno paga le tasse dove vuole». Per Boccia una simile tesi è «così sfacciatamente di parte da apparire comica, se non fosse che è in gioco la sopravvivenza di migliaia di aziende italiane e dei lavoratori che rischiano ogni giorno il loro posto». «Grillo – conclude – spieghi loro perché Google dev’essere privilegiata. La web tax non è illegale. Diventerà presto illegale fare i furbi col fisco. Anche attraverso il mouse tanto caro al leader M5S».