Paolo Bracalini, Il Giornale 11/11/2013, 11 novembre 2013
E ANCHE «REPUBBLICA» RISCHIA LA SCISSIONE
«Senti, ma com’è che siete andati a Firenze dove c’è Renzi, che non vi stava tanto simpatico fino a poco tempo fa?» chiede la Littizzetto a bruciapelo a Ezio Mauro, direttore di Repubblica, mentre inaugura la festa del quotidiano nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, col sindaco Renzi e l’editore De Benedetti in prima fila. Il direttore sfugge all’imbarazzo con una controbattuta: «Ci hanno già preso in giro, dicendo che venendo qui dovevamo metterci il chiodo alla Fonzie (usato da Renzi ospite di Amici della De Filippi, ndr ) come divisa d’ordinanza». Risate in sala, disagio sfumato. Perché proprio Ezio Mauro, solo un anno prima di farsi convincere «in dieci minuti » da Matteo Renzi a portare la festa di Repubblica a casa sua (e non a Genova, inizialmente opzionata), alla domanda «ti piace Matteo Renzi?» rispondeva: «Non particolarmente, ha aspetti bulleschi». Giudizio che nel «partitoRepubblica », diviso in correnti come il Pd, ormai sembra appartenere solo ad Eugenio Scalfari, ma non all’editore e neppure alla direzione.
Dopo l’editoriale con cui, domenica scorsa, ha stroncato Grillo («Se vince lui l’Italia a va a rotoli»), stavolta il fondatore usa il metodo Scalfari proprio con il nuovo prediletto di Repubblica , Matteo Renzi. Paragonandolo a Fabio Volo («Che non ho letto» precisa subito), fenomeno di massa privo di sostanza letteraria, Scalfari fa a pezzi la tuttologia renziana: «È un grande venditore di se stesso, al livello del primo Berlusconi (...) La sua riuscita politica rappresenta un’imprevedibile avventura e in politica le avventure possono giovare all’avventuriero, ma quasi mai al Paese che rappresenta ».
Il paragone dispregiativo tra Renzi e Berlusconi l’aveva fatto lo stesso De Benedetti, in epoca Primarie, quando liquidava il sindaco rottamatore così: «Renzi? Abbiamo già dato, non mi sembra il caso di riproporre un Berlusconi di sinistra... Di sinistra poi si fa per dire... Oltre a rottamare, brutta parola, cosa vuol fare?Non l’ho capito».Lì De Bendetti, e Repubblica compatta a ruota, stava con Pier Luigi Bersani. Con un endorsement palese dell’editore («Mi auguro che Bersani vinca le primarie. Lo conosco, lo stimo, è una persona per bene, mi dà un senso di tranquillità e stabilità, più di qualsiasi altro »). Pazienza che mesi prima, nel libro-intervista con Paolo Guzzanti, l’Ingegnere avesse fatto a pezzi proprio Bersani, definito «totalmente inadeguato come leader».
L’indice di gradimento si è invertito col frontale del Pd bersaniano alle elezioni, proseguito con la pantomima del corteggiamento a Grillo, concluso con il patatrac sull’elezione del Colle. Morto Bersani, per Repubblica, l’asso sui cui puntare è diventato Renzi. Non, però, per Scalfari, fedele all’asse Napolitano-Letta-Draghi. Tutti e tre, abbastanza irritualmente, ospiti per cena a casa Scalfari, affacciati su piazza della Minerva, una sera di settembre. La divisione in correnti di Repubblica , tra quella scalfariana pro Letta-Napolitano, e quella (maggioritaria) editore-direzione invece pro Renzi, provoca attriti. Sul caso Cancellieri, scoop di Repubblica , Scalfari non ha speso mezza riga. Mentre l’artiglieria pregiata della direzione ha martellato per le dimissioni. Stessa linea, casualmente, di Renzi. Per nulla, invece, quella di Napolitano, e del suo più illustre interprete giornalistico, Eugenio Scalfari. Capocorrente lettian-quirinalizio dentro il «partito Repubblica».