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 2013  novembre 11 Lunedì calendario

FENOMENO GIULIA ROCKETTARA FUORI CLASSICA DENTRO


Sale sul palco così come va in giro nella vita: con gli anfibi, le unghie mangiate, un paio di jeans strappati, una giacca vintage e sotto la maglietta con la faccia di David Bowie, Beethoven o i Beatles. “Quando il vestitino nero è d’obbligo, lo scelgo in tulle, senza maniche, un po’ punk, un po’ rock”. Giulia Mazzoni, 24 anni, non fa finta di essere se stessa. Suona il pianoforte da quando era in quinta elementare. Fino a un mese fa, tutti i fine settimana per nove anni, ha fatto la cassiera al supermercato per racimolare qualche soldo. Ha i capelli corti, rasati da un lato, tinta biondo ossigenato, una chiave di violino tatuata dietro il collo, lo smalto verde e blu e la matita nera sugli occhi nocciola. “Il rispetto sul pianoforte non lo ottieni in base a come ti vesti ma a come sei, con la gestualità, io mica mi siedo sbracata, e mentre suono alzo gli occhi e guardo il pubblico”.

UNO STILE CONTROCORRENTE, un tipo dolce e salato. Non le fai cambiare idea quando dice che “il conservatorio non è un posto dove si conserva ma dove si sperimenta”. Lei lo ha provato sulla sua pelle. A 15 anni si è iscritta al Conservatorio Verdi di Milano, che frequenta tuttora, da pendolare, siccome è nata a Prato, dove vive con i genitori. “Per il momento va bene così, prima o poi andrò ad abitare da sola”, lo confessa ma la voce è titubante. Giulia ha una corazza grintosa e un’anima più fragile. “Ho una malinconica solarità” confida. Ha conosciuto la solitudine negli anni del liceo e ha imparato ad assaporare la sua linfa. Quella che ha usato per giocare con le note. Sui tasti del pianoforte a muro in camera sua ha composto cento brani, di cui 50 per orchestra. “Lì dentro trovo il mio equilibrio”. Intorno ci sono le scarpe, gli abiti scivolati per terra, pile di libri, cd e spartiti. Il caos fuori è il suo ordine dentro. Il 18 giugno è uscito il suo primo disco, Giocando coi bottoni: “A due anni mi piaceva rovesciare nella cesta una scatola di latta con dentro dei bottoni, che poi dividevo per forma e colore. I bottoni rappresentano uno stato d’animo, la meraviglia, che oggi il mondo cerca di ammazzarci”. Giulia non è figlia di artisti, non ha un cognome importante. Al pomeriggio continua a dare lezioni private di pianoforte a tre bambini. E oggi le sembra di sognare a occhi aperti, più che essere imbarazzata non sa bene come comportarsi: “Mi sento tra palco e realtà, come canta Ligabue”. “Sono sportiva – aggiunge –, la musica mi piace di qualsiasi genere. Posso ascoltare Elisa, De Gregori o i Daft Punk. Da tutti ho qualcosa da imparare”. Quando per strada le chiedono di fare una foto arrossisce ma non si tira indietro. “L’altro giorno il gelataio mi ha regalato un chilo e mezzo di gelato”, sorride. Poi prende in mano il cellulare e cambiare umore. Fa partire uno dei suoi video su YouTube e legge i commenti degli utenti. “Mi danno della pescivendola, pollaiola, shampista: giudizi così mi fanno soffrire. Accetto invece chi mi fa delle critiche costruttive”. Giulia non ha mai replicato pubblicamente, ma sul cellulare, nella pagina degli appunti, ha tratto le sue conclusioni: “Chi offende non si sente protagonista della sua vita, perde del tempo contro gli altri anziché fare del bene per sé”. Con la popolarità, esposta tanto ai complimenti quanto alle cattiverie, deve ancora prenderci mano. Le fa il tifo perfino Michael Nymann, il guru del minimalismo musicale. La loro amicizia nasce tre anni fa. “Un giorno apro la posta elettronica e trovo una sua mail, pensavo fosse uno scherzo, così gli ho dato un appuntamento su Skype: era lui. Ora ci vediamo e sentiamo spesso”. Per caso è stato anche l’incontro con Riccardo Vitanza, il suo produttore. “Un altro produttore prima di lui mi aveva vista al teatro Buratto di Milano, quando ho messo in scena uno spettacolo curato e diretto da me, Il viaggio: dialogo tra musica, pittura e parola, e lui mi ha segnalata a Vitanza”.

GIULIA NON HA VOGLIA di vivere a metà. Adora i Dr Martens, ne ha un paio verde piombo e un altro rosso, che un giorno spera di indossare sul palco. Il suo tour parte il prossimo marzo. Intanto lo scorso ottobre si è esibita al Blue note di Milano conquistando i giovani. Il 2 dicembre sarà in concerto all’Auditorium Parco della musica di Roma e cinque giorni dopo, sempre nella capitale, parteciperà al concerto di Natale. Se le chiedi cosa vuole fare da grande risponde: “Comporre musiche per i film, magari di Tim Burton, Ozpetek, Gabriele Muccino e i fratelli Taviani”. Al polso ha un orologio rosa shocking di gomma: “È un portafortuna”, così come il suo cavallino di legno blu, la fatina rosa e il mini pianoforte, rosa pure questo, che si porta ai concerti. Ha sempre uno stupore che le esce dagli occhi, contagioso come quello dei bambini. Ma è anche alta, ha un aspetto da donna avvolto dalla meringa della simpatia. A casa le rimproverano di avere la testa sulle nuvole e di non ascoltare. “In realtà io ascolto gli altri – giura – Mentre parlano però associo quello che dicono ad altre idee”. Le è capitato di andare a scuola, non apposta, con le calze di colore diverso e la maglia girata al contrario. A Milano non si ricorda mai quale uscita della metro deve prendere. “È più forte di me, sbaglio direzione anche se ci vado da una vita”. A raccogliere foto e articoli di giornale ci pensano le nonne, per fortuna. “Mi sento un po’ un maschiaccio”. La femminilità di Giulia è nascosta, nell’intimo. “Sotto il pigiama con gli orsi indosso una lingerie da pin up”. Colleziona completini dal gusto retrò e centinaia di calzini colorati e à pois. Romantica, pantofolaia, un po’ rock and roll e un sapore malinconico che l’ha resa sensibile e profonda, ma anche ribelle. “La musica aiuta a non sentire dentro il silenzio che c’è fuori”: è la frase di Bach che ha postato su Facebook.