Angelo Carotenuto, La Repubblica 11/11/2013, 11 novembre 2013
L’ALTRO RING
Una maschera l’aveva sul ring. «Fingevo». Le braccia basse, lo sguardo fiero. «Sicurezza, spavalderia. Ma non ero io, ero quello che sembravo. Non c’è stato un solo match che abbia iniziato senza tremare. La paura saliva le scalette con me». Un oro olimpico e il mondiale dei welter junior. Nessuno se n’era mai accorto, recitava già combattendo, Patrizio Oliva, prima di darsi al teatro per davvero. Una nuova vita da attore adesso, a 54 anni. Addirittura con un debutto impegnativo da Pulcinella, ruolo che fu di Antonio Petito, Eduardo, Massimo Troisi. Ha fatto il ballerino, l’assicuratore, l’assessore, il ristoratore, il telecronista, il ct della nazionale, l’organizzatore di eventi sportivi, ha inciso un disco per la Ricordi. È partito da Napoli, quartiere Poggioreale, infilando le mani nei guantoni per scappare dalla fabbrica di reti per materassi, stava alla saldatrice, la sera non riusciva a tenere gli occhi aperti. Doveva metterci delle fettine di patate sopra. La palestra era in centro, tre autobus da prendere. «Gli altri sfottevano: addo vaje? Tornavo alle 10 di sera e loro seduti fuori al bar. Se torno adesso forse stanno ancora là».
Recitava, ma non amava lo show. Stremava la preda e la finiva. Lo Sparviero, così lo chiamavano. Non cercategli il segno di un pugno sulla faccia. «Dovevo farmela spaccare per far divertire la gente?». Un giorno disse: «Se avessi fatto le scenette di La Rocca, mi avrebbero tirato le mele appresso ». Cinquantanove match da
professionista, persi due, con Coggi e McGirt. Ora la maschera è nera, il naso lungo e curvo, i pugni non c’entrano. La paura è la stessa di sempre. «Quando si apre il sipario, tremo». Ha debuttato a ottobre in “Due ore all’alba”, è un Pulcinella condannato alla ghigliottina, scopre il grande cuore di una guardia borbonica e il piano diabolico della sua donna. «Tutto è iniziato in uno spogliatoio, durante una partita di beneficenza, ridevo e scherzavo. Alla fine si avvicina uno degli altri calciatori e mi dice: dovresti fare l’attore». Luciano Capponi, regista. Prima gli offre un cameo al cinema in “Butterfly Zone”, poi la parte da protagonista in “Il Flauto”, film che torna nelle sale a dicembre: Oliva interpreta un netturbino in un cimitero, Gennaro Esposito, come nella “Livella” di Totò. «Ma in teatro è diverso. Una scena, se la sbagli, non la ripeti. La critica ha scritto che come attore sarei piaciuto a Pasolini. È un complimento enorme, me lo prendo. Se non mi fossi sentito credibile, non mi sarei messo a rischiare l’immagine del mio passato. Capponi ha visto in me qualcosa. L’ha intuito. Come facevo io da ct della nazionale, quando mi rimproveravano perché lasciavo fuori i campioni italiani. Però così ho scoperto Fragomeni».
Il palco è il nuovo ring. «Il teatro è come la boxe. Contano i tempi giusti delle entrate. Richiede grande concentrazione per lunghi momenti. Ma chi ha l’arte dentro, sa come dare tutto. Io credo di averne. Non facevo a cazzotti, facevo arte. Con i pugni mi esprimevo, ce l’ho nell’anima, ora lo so. Sono quattro anni che mi preparo per recitare, studio per conto mio, nessuna scuola. Le scuole a volte non servono. Mina non sa neppure cosa sia una scala musicale. Eppure è la più grande. E io ho incontrato campioni che non conoscevano la palestra». Ha scoperto cos’è la memoria. «Sul ring prevale l’istinto, ora imparo un copione. Ripeto, ripeto, ripeto. Non sono mica intronato. Ho un metodo. Unisco le parole ai gesti, così il ricordo del gesto, la sua ripetizione, mi porta alla mente anche le battute ». Oliva è in scena un Pulcinella che ribalta l’idea della nottata che deve passare. «La speranza è un carretto nero e pesante, ha bisogno che tutti si mettano a tirarlo, non cammina per conto suo. Se ti siedi ad aspettare che la nottata passi, che se ne vada da sola, puoi pure diventare vecchio al buio. Nello spettacolo dico: “Fin quando mi vedrai con questa maschera, ricordati che non ti ho mai tradito”. Ma Pulcinella è maschera di contraddizioni. È furbo, ha mille facce. Non mi piace il suo carattere. Non ha personalità, vuole ammaliare. È un tratto di quella napoletanità da cui scappo. Però è un grande ruolo, una sfida». Dopo 12 anni a Formia è tornato a vivere a Napoli. «Come mi sembra? Come l’Italia, un luogo dove i giovani sono delusi: studiano, si laureano, ma alla fine la casa con la piscina se la fanno i delinquenti. Guardate la storia dei rifiuti tossici. Sentire che la politica era a conoscenza di quali fossero i terreni contaminati e sapere che nulla è stato fatto, toglie la forza di partecipare».
La boxe non gli manca. «Mai rivisto in tv un mio match. Ho vinto tutto quello che potevo e che si doveva. Non ho fatto i soldi, spesso ho combattuto per mio piacere. Oggi voglio sognare. Un film con Tornatore, Sorrentino, Garrone. Sarebbe fantastico. Il cinema è cultura, anche se adesso arriva un Checco Zalone, fa 18 milioni di incasso e sentenzia che il cinema non deve dare messaggi. Sogno, certo. Altrimenti non varrebbe la pena di fare nulla. Sognavo il titolo mondiale, mica ero certo di vincerlo. Ora voglio sognare di vincere l’Oscar. Tanto, se poi non succede, che fa?».