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 2013  novembre 11 Lunedì calendario

LE CATASTROFI SI MANGIANO IL 5% DEL PIL DELLE FILIPPINE


Oltre diecimila morti dovrebbero essere una ragione sufficiente per riflettere sul riscaldamento globale, e decidere se è il caso di intervenire per limitare almeno la parte di danno provocata dagli uomini. Se questo non bastasse, però, diamo un’occhiata ai costi, che dimostrano come ci converrebbe comunque agire.
Secondo le stime del governo filippino, quarantesima economia del mondo e in ascesa, ogni stagione attiva dei tifoni come quella in corso toglie circa il 5% al suo Pil, fra danni e le spese della ricostruzione. Il prodotto interno lordo di Manila è calcolato dalla Cia in oltre 420 miliardi di dollari, e quindi stiamo parlando di una perdita superiore a 20 miliardi all’anno.
Negli Stati Uniti, le compagnie assicurative hanno calcolato che il 2012 è costato oltre 139 miliardi di dollari, in termini di disastri provocati dai fenomeni climatici. Primo fra tutti l’uragano Sandy, costato almeno 68 miliardi. La media è 9 miliardi a ciclone, ma tutti i parametri saltano quando arriva un mostro come Katrina, che nel 2005 uccise quasi duemila persone e fece danni per oltre 108 miliardi.
Le stime in questo campo sono complicate e contestate, ma nel 2006 l’economista britannico Lord Nicholas Stern realizzò uno studio per il governo di Londra, secondo cui non ridurre di almeno 2 gradi la temperatura globale sarebbe costato almeno lo 0,3% al Pil mondiale. Confrontando questi costi con i benefici, Stern era arrivato alla conclusione che agire contro il riscaldamento farebbe guadagnare almeno 2,5 trilioni di dollari alla comunità internazionale. Scendendo poi nel dettaglio Usa, il gruppo ambientalista National resources defense council sostiene che una riduzione delle emissioni americane del 34% entro il 2025 costerebbe 4 miliardi di dollari, ma offrirebbe vantaggi economici compresi fra 26 e 60 miliardi. E allora cosa aspettiamo?
Sul piano scientifico, l’Intergovernmental Panel on Climate Change dell’Onu ha appena pubblicato un rapporto in cui dice di essere sicuro al 95% che il riscaldamento globale esiste ed è provocato dall’uomo. Il restante 5%, però, basta agli oppositori per frenare, sostenendo che i fenomeni atmosferici non sono cambiati, tifoni e uragani non sono aumentati, e se hanno più forza non c’è la prova che la colpa sia delle attività umane. Questa posizione è sposata dalle lobby delle aziende che perderebbero soldi con la riduzione delle emissioni, mentre fra i governi la lite riguarda chi dovrebbe tagliare di più: i paesi sviluppati come Usa ed Europa, che inquinano da oltre un secolo, o quelli in via di sviluppo come la Cina, che guidano l’inquinamento adesso?
Il caso tragico ha voluto che proprio oggi, a Varsavia, si apra la COP 19, cioè la conferenza sul clima preparatoria per il vertice del 2015 a Parigi, che dopo il fallimento di Copenaghen nel 2009 dovrebbe finalmente varare l’accordo successore di Kyoto. La Francia ha stabilito come obiettivo dei lavori di mantenere l’aumento delle temperature sotto i 2 gradi, ma questo è un miraggio che ormai ci illude e ci elude da anni.