Bill Emmott, La Stampa 11/11/2013, 11 novembre 2013
UN DISASTRO CHE METTE A RISCHIO LA TENUTA SOCIALE DEL PAESE
Oltre alla questione più importante - il terribile costo umano - la tragedia del tifone Haiyan alle Filippine segna la fine di una serie di buone notizie per una nazione del Sud-Est asiatico che finora non aveva condiviso troppi successi della regione. Speriamo che la forza e la credibilità che le precedenti buone notizie avevano portato al governo del presidente Benigno Aquino III gli permettano di tenere insieme il Paese e recuperare rapidamente.
Corruzione, cattiva gestione, guerre separatiste e guardaroba pieni di scarpe di Imelda Marcos, hanno per decenni reso le Filippine il peggior attore del Sud-Est asiatico.
Un Paese che, nonostante i cento milioni di abitanti, è stato talvolta guardato con un misto di disprezzo e pietà dai suoi vicini, specialmente l’influente, disciplinata e ricca città-stato di Singapore. Ma negli ultimi anni tutto questo ha iniziato a cambiare.
L’anno scorso il governo finalmente ha firmato la pace con il Fronte di Liberazione Islamico Moro, forza separatista che ha condotto una lotta armata per più di 25 anni nella regione meridionale del Mindanao, conflitto ignorato dal resto del mondo nonostante abbia ucciso più di 120 mila persone. C’è molto lavoro da fare prima che la pace sia finalmente garantita, ma dato che il patto promette di dare al Mindanao un alto livello di autonomia, analoga a quella della Catalogna in Spagna, sembra davvero uno spartiacque.
Nel frattempo le Filippine hanno mostrato una forte crescita, grazie a un’espansione annuale del prodotto interno lordo maggiore del 4% in nove degli ultimi 12 anni, e con previsioni della Banca di Sviluppo Asiatico per il 7% nel 2013. La sua valutazione di credito internazionale è stata innalzata di grado quest’anno da tutte le tre maggiori agenzie internazionali, l’ultima, Moody’s, giusto un mese fa. Grazie alle tasse crescenti e ai soldi inviati dai numerosi filippini che lavorano all’estero, il Paese è anche diventato un creditore netto mondiale, con riserve di valuta straniera che superano i debiti.
Questo sviluppo economica non è avvenuta prima del tempo. Le Filippine si trovano in una regione dove è facile scontrarsi con i vicini - l’ultima lite è sul territorio sottomarino con la Cina - e hanno dovuto chiedere aiuto diplomatico agli Stati Uniti, di cui un tempo erano colonia, per fronteggiare i cinesi. Regimi corrotti, troppo disfunzionali e screditati per garantire che le necessarie infrastrutture venissero costruite, in precedenza avevano reso difficile la creazione di alleanze.
Il presidente Aquino viene dalla più famosa famiglia politica del Paese. Suo padre Benigno fu assassinato nel 1983 perché si opponeva all’allora dittatore Ferdinand Marcos, e sua madre Corazon condusse la rivoluzione «potere al popolo» che nel 1986 rovesciò Marcos e la rese il primo Presidente democraticamente eletto. Fin dalla sua elezione nel 2010, il compito di ripulire il Paese dalla corruzione è stato rinforzato e le infrastrutture hanno iniziato a essere ricostruite.
Ora, di fronte ai danni compiuti dal tifone Haiyan, il compito del presidente Aquino di tenere insieme il Paese e ricostruirlo è più grande e più duro che mai. Eppure disastri naturali di questo tipo hanno alcune caratteristiche che rendono il recupero più semplice. Prima di tutto l’aiuto e assistenza materiale che viene da grandi e piccole potenze, e che per lo meno sospende le baruffe diplomatiche. È quel che è successo circa tre anni fa, quando il Giappone fu colpito da terremoto e tsunami, e lo stesso è probabile che accada nel caso delle Filippine.
Una seconda caratteristica è che l’effetto economico dei disastri naturali è temporaneo e relativamente poco importante. Con una forte posizione di credito e supporto internazionale, le Filippine saranno in buona posizione per ricostruirsi in fretta e potranno installare migliori infrastrutture e edifici più moderni di prima. Il boom della ricostruzione neutralizzerà, e forse supererà, i costi economici di breve termine.
L’effetto economico, ripeto, non è importante. Quello su cui bisogna concentrarsi è l’impatto umano e sociale di un disastro naturale come questo. Il vero pericolo per le Filippine è che la tragedia sia una nuova fonte di divisioni, risentimenti e rabbia, causati da qualsiasi ingiustizia o corruzione percepita nel periodo successivo al disastro e nella ricostruzione. Per affrontare questo pericolo, saranno necessarie tutta la determinazione e le capacità politiche ereditate dal Presidente Aquino.