Vittorio Sgarbi, Il Giornale 10/11/2013, 10 novembre 2013
E LA MATERIA DECISE DI FARSI PURO SPIRITO
Il Manierismo ha il suo campione, fuori di Firenze, con Pontormo, Rosso e Bronzino, interpreti alieni di Michelangelo, in Parmigianino, forse il più originale pittore emiliano del Cinquecento, la cui parabola, descritta polemicamente da Giorgio Vasari, avrebbe potuto condurlo a essere l’erede di Raffaello. Nato nel 1503, a Parma, Parmigianino arriva a Roma, chiamato da Papa Clemente VII, nel 1525, pochi anni dopo la morte del Divino Pittore. Il suo volto in quegli anni è quello dell’Autoritratto allo specchio:un giovane efebico e romantico. Ma il suo destino è segnato dal Sacco di Roma che, nella grande città devastata,gli impedisce l’affermazione sperata, lo costringe a risalire l’Italia rientrando nella sua città natale dove aveva prosperato, in un mondo parallelo di armonie e perfezioni amorose, il suo primo maestro: Correggio. Dopo una breve sosta a Bologna, dove lascia alcuni capolavori come la pala con Santa Margherita e il San Rocco, nel 1530 Parmigianino torna definitivamente a Parma, accompagnato dalla leggenda della gloria romana, che non ebbe, ma che gli consente di esprimere in dieci anni soltanto assoluti capolavori fra i quali l’Antea, e gli affreschi, incompiuti e mirabili, con le vergini stolte e le vergini sagge per la chiesa di Santa Maria della Steccata. La maniera che Parmigiano elabora è del tutto autonoma da Raffaello e Michelangelo, che trovano il loro presidio nell’impresa di Giulio Romano a Palazzo Te a Mantova. Parmigianino elabora uno stile sofisticato e intellettuale, in cui l’armonia dei sensi di Correggio si trasforma in un’alchimia di forme nuove, algide e cristalline, come si vede nella Madonna dal collo lungo. Il Cavaliere Francesco Baiardi era amico e collezionista esclusivo del Parmigianino, ed è sua sorella Elena a commissionare al pittore, per la cappella funeraria del marito nella chiesa di Santa Maria dei Servi a Parma, il 23 dicembre 1534, la sua opera più nota e rappresentativa, e forse la più perfetta e la più grande, la Madonna dal collo lungo, di cui quasi una versione profana può essere considerata la coeva, e preziosamente antiquariale, Pallade Atena di Hampton Court, probabilmente da identificare con «una testa col petto d’una Minerva di mano del Parmesianino» nell’inventario della collezione di Francesco Baiardi. Non che il mondo antico manchi, nella Madonna dal collo lungo, cui fa da riscontro il colonnato che si intuisce dietro la emergente colonna, simbolo della fortezza e dell’integrità della Vergine, ma anche del contributo del mondo antico alla costruzione della civiltà cristiana. Numerosi, variati e molto complessi disegni insistono sui motivi architettonici, sull’idea del tempio (Londra, Albertina, Ottawa, Louvre). Così, in basso, un minuscolo profeta si ritaglia come un filosofo antico uno spazio solitario ai piedi delle colonne del tempio. «Alla chiesa di Santa Maria dei Servi fece in una tavola la Nostra Donna col figliuolo in braccio, entro la quale riluce una croce contemplata dalla Nostra Donna. La quale opera, perché non se ne accontentava molto, rimase imperfetta: ma non di meno è cosa molto lodata in quella sua maniera piena di grazia, e di bellezza».
L’opera accompagnò il Parmigianino fino alla morte, senza che egli giungesse a compierla. Arrivò nella cappella Baiardi solo nel 1542. È testimonianza di un processo alchemico compiuto, di una trasformazione della materia in spirito, in pura idea: potrà poi essere, come vuole Fagiolo dell’Arco, l’Immacolata concezione della Vergine, la sua divina maternità allusa nella forma pura del vaso. Aggiunge Fagiolo: «La ricerca è da approfondire; questo motivo del collo lungo connesso alla Vergine è una lunga storia, e trova le sue radici addirittura nel Medioevo. In un inno medioevale così è esaltata Maria: collum tuum ut columna, turris et eburnea». Diversa è la seducente, non formalistica interpretazione di Arnold Hauser: «Par che nessun elemento del quadro si accordi con un altro, non una che figura si comporti secondo le leggi naturali, non un oggetto adempia alla funzione che gli verrebbe assegnata di norma.
Non si sa se la Vergine sia in piedi o seduta, se si poggia a un sostegno che forse è un trono. Non si sa neppure dove si svolge vera¬mente la scena: se in atrio o all’aperto.Che cosa significa laggiù nel fondo la fila delle colonne? Che razza di colonne sono, poi, che se ne stanno lì senza capitello, affatto inutili, veramente paragonabili a fumaioli di fabbriche? E che cosa vogliono rappresentare i giovanetti e le fanciulle accalcati nell’angolo a sinistra in primo piano? Angeli o piuttosto, come pensava Dvoràk, un efebo con i suoi compagni nell’atto di presentare un’offerta votiva alla Vergine, a quest’idolo così idealmente leggiadro? Si sarebbe così arrivati là dove doveva ineluttabilmente condurre questo genere di pittura sacra: a un culto pagano della bellezza».