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 2013  novembre 10 Domenica calendario

CARO RENZI, ECCO LE VERE PENSIONI D’ORO


Il tema delle pensioni non è una novità, sta ritornando caldo. Grazie ad alcune giravolte di Matteo Renzi, caldissimo. Nel 2012 sono stati spesi 311 miliardi di euro per prestazioni sociali: 255 miliardi per le pensioni e il resto per l’assistenza in senso stretto. Quasi il 40 per cento di tutte le spese correnti dello Stato italiano se ne va in spesa previden­ziale. Anche se il calcolo non è tecnica­mente corretto, confrontando le entra­te per contributi sociali ( cioè le ritenu­te fatte sui lavoratori e datori) e le usci­te per pagare gli assegni di quiescenza si vede uno sbilancio di più di trenta miliardi. Usciamo dai numeri altri­menti impazziamo. E cerchiamo di svelare con semplici­tà ciò che sta avvenendo. Per anni ab­biamo promesso ai lavoratori pensio­ni che non ci saremmo potuti permet­tere. Il retropensiero era che aumenta­vano lavoratori e giovani (presto nuo­vi occupati) in grado di pagare i vecchi che smettevano di lavorare. Ci siamo trovati con indici di natalità bassi (me­no giovani) e disoccupazione alta. Il giocattolo si è dunque rotto. Dal 1995 in poi sono stati fatti più di una mezza dozzina di interventi. Abbiamo dovu­to spiegare a pensionati e lavoratori che il sistema non avrebbe retto.
Il senso finale delle riforme fino a qua fatte (a partire dalla madre di tut­te, che è quella Dini) rende il nostro si­stema pensionistico tutto sommato gestibile,poiché lega i contributi versa­ti durante la vita lavorativa all’assegno previdenziale alla fine della stessa (si­stema contributivo). Nei prossimi dieci anni gli squilibri ereditati dal passato si faranno senti­re. I giovani di oggi invece quando an­dranno in pensione tra venti- trenta an­ni avranno assegni talmente decurtati che daranno un sollievo alle casse pub­bliche. Questa è la drammatica morsa in cui ci troviamo. Perché allora abbia­mo definito giravolte quelle di Matteo Renzi? Il sindaco di Firenze e candida­to alla guida del Pd ha giustamente ri­proposto il tema di una maggiore equi­tà previdenziale. Ma equità nelle pen­sioni non vuol dire necessariamente redistribuzione dai più ricchi ai più po­veri. L’unico criterio corretto è quello della correlazione tra contributi versa­ti durante la vita lavorativa, aspettati­va di vita (più anni sono pensionato più costo alla collettività) e entità del­l’assegno pensionistico. Da un punto di vista puramente contabile 700 euro di pensione al mese possono essere più costose per le casse dello Stato di 7mila euro: tutto dipende da quanti contributi sono stati versati nel primo e nel secondo caso. Mi spiego meglio (in realtà Davide Serra l’ha spiegato be­ne a Renzi). Non stiamo certo dicendo di tagliare le pensioni ai più poveri. Stiamo solo dicendo, riferendoci a Renzi, che tagliare le pensioni ai cosid­detti ricchi non sempre è giusto dal punto di vista contributivo.
Se un’operazione di maggiore tassa­zione sulle cosiddette pensioni d’oro si vuole fare, non la si giustifichi con l’equità previdenziale-attuariale, ma con la volontà di tassare i più ricchi e re­distribuire il reddito di socialista me­moria.
Il dramma del nostro sistema previ­denziale, ereditato dal passato, è di­mostrato da una ricerca di alcuni anni fa realizzata per conto dell’Inps da Ste­fano Patriarca. Un lavoratore che nel 2010 fosse andato in pensione con 2.031 euro al mese (media delle liqui­dazioni Inps per i trattamenti di anzia­nità) avrebbe in realtà dovuto prende­re non più di 1.050 euretti (calcolando i contributi versati e rivalutati al gene­roso tasso del 9,5 per cento l’anno). «La differenza - scrive Patriarca - è co­me se fosse pagata con le entrate dei pa­rasubordinati, degli immigrati, dai contributi di coloro che non arriveran­no ad avere la pensione previdenziale anche se hanno pagato i contributi, e con i trasferimenti dello Stato. I 2.031 euro sarebbero equi e corrispondenti ai contributi pagati andando in pensio­ne a 75 anni».