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 2013  novembre 10 Domenica calendario

ANCHE I VIRTUOSI TEDESCHI SOTTO LA LENTE DI BRUXELLES


I primi della classe stanno per finire dietro la lavagna. Mercoledì prossimo la Commissione europea, dovrebbe criticare pesantemente la Germania e prospettare addirittura l’apertura di un procedimento per punire lo squilibrio della sua bilancia commerciale. Cioè per aver esportato troppo e importato troppo poco. La notizia è filtrata da Bruxelles e non ha nulla di ufficiale, ma è bastata a mettere in forte allarme la cancelleria sulla Sprea e i ministeri dell’Economia e della Finanza, che starebbero già predisponendo gli argomenti per contrastare l’iniziativa dell’esecutivo comunitario. Questa si configurerebbe in un richiamo tassativo al governo tedesco a rientrare sotto il tetto del 6% di eccedenza dell’export sulle importazioni che è fissato come il massimo sopportabile dalle regole del «Six Pack», lo strumento che dal novembre 2011 fissa i criteri macroeconomici per il rispetto del Patto di Stabilità. Per una sorta di ironia della storia la Germania verrebbe punita proprio in ragione di uno degli strumenti di disciplina di bilancio che essa stessa tanto ha insistito perché venissero imposti dalle autorità di Bruxelles. Le quali – va detto anche questo – furono a suo tempo molto «generose» fissando la soglia insuperabile a un livello molto alto (il 6%) proprio per favorire Berlino. Per gli stati con problemi di bilancio più acuti il tetto è infatti fissato al 4%. Se la Germania non ottemperasse all’ingiunzione in un lasso di tempo determinato (forse tre mesi), le verrebbe comminata una multa il cui ammontare potrebbe variare tra lo 0,1 e lo 0,5 per mille del Pil (che è intorno ai 3.400 miliardi di euro). Il rientro non sarebbe né facile né indolore: secondo Eurostat nel 2012 le eccedenze tedesche hanno superato ampiamente il 7% e sarebbero ancora in forte crescita, incrementando lo squilibrio con gli altri paesi dell’Unione e insidiando la stabilità dell’Eurozona. I dati diffusi dall’istituto statistico tedesco segnalano che nello scorso mese di settembre, nonostante gli inviti al riequilibrio che partono da Bruxelles ormai da molti mesi, le esportazioni hanno superato le importazioni per ben 20,4 miliardi di euro: un record assoluto che ha sollevato giustificati allarmi nelle altre cancellerie.

L’iniziativa della Commissione, che è stata preceduta dai moniti del Fondo Monetario, dalle critiche, molto aspre, del Tesoro americano e da una esplicita presa di posizione del commissario agli Affari economici Olli Rehn, rischia di aprire forti contrasti, a Berlino e dintorni, tra chi riconosce la necessità di cambiare, almeno in parte e almeno gradualmente, la politica economica sforzandosi di ridurre il gap di competitività tra le prestazioni tedesche e quelle degli altri paesi dell’Eurozona e chi, sull’altro fronte, respinge al mittente tutte le critiche. Ieri, nelle prime reazioni che si sono potute cogliere alle indiscrezioni che filtravano dalla Commissione Ue erano prevalenti le ragioni dei secondi. Particolarmente duri sarebbero i toni di un documento interno del ministero dell’Economia, retto ancora dal liberale ultraliberista Philipp Rössler, nel quale si respingerebbero le critiche come «assolutamente inaccettabili». I funzionari del ministero, secondo quanto ne riferisce il sito on-line del quotidiano Die Welt, si farebbero forti di uno studio del Fmi nel quale si sostiene che le cause del surplus tedesco vanno ricercate nelle «carenze dei partner in materia di fisco e di politiche strutturali». Insomma: la Germania sarebbe troppo forte solo perché gli altri paesi sono troppo deboli. Sarà utile però ricordare che proprio dal Fondo monetario è venuta, nelle settimane scorse, la raccomandazione ai tedeschi a non esagerare con le esportazioni e con la compressione del mercato interno. I critici-critici del ministero dell’Economia si farebbero forti di un altro argomento: se la Germania dovesse aumentare il suo indebitamento per abbattere il surplus «metterebbe in gioco» la sua credibilità finanziaria e perciò stesso minaccerebbe la stabilità dell’Eurozona.

I toni sarebbero un po’ più morbidi al ministero delle Finanze, dove comunque insisterebbero sul fatto che l’export tedesco continua, sì, a crescere, ma a tassi inferiori alla crescita media mondiale. Un argomento che non tiene evidentemente conto degli effetti, ben più pesanti e destabilizzanti, che il gap di competitività non può non avere all’interno di un’area ristretta e coperta da un’unica moneta come quella dell’euro.

Gli argomenti iperliberisti dei liberali, che però sono stati sconfitti alle elezioni e perderanno presto l’influenza politica che ancora mantengono, sono sostenuti da larghi strati della Confindustria, di cui alcuni esponenti fanno notare che la forza delle esportazioni tedesche non è determinata né dai bassi salari né dall’atteggiamento troppo disciplinato delle finanze pubbliche, ma dalla forza competitiva dell’industria tedesca e dal fascino mondiale del «made in Germany». Si vedrà nelle prossime settimane quanto questo fronte sarà in grado di tener testa alle richieste, sempre più pressanti, per un cambiamento dell’indirizzo della politica economica di Berlino. Il primo banco di prova sono le difficili trattative in corso per la formazione della große Koalition.