Danilo Taino, Corriere della Sera 10/11/2013, 10 novembre 2013
LE DUE FORZE MOTRICI CHE SVALUTANO IL LAVORO
Ci stiamo accorgendo che il lavoro conta sempre meno. La quota di reddito che si ritaglia è in calo da almeno vent’anni , a vantaggio di profitti e rendite: nel mondo, era del 66% un paio di decenni fa, ora è attorno al 61-62% , secondo l’Ocse. Nel mondo post-Grande Recessione, questo sta diventando un grande tema di discussione. Un calo di quattro punti percentuali può sembrare poca cosa. In realtà è un’enormità: in passato la quota di ricchezza che andava ai redditi da lavoro tendeva a rimanere costante. Il fenomeno è generale e in Italia particolarmente accentuato. Uno studio dell’Organizzazione internazionale del Lavoro (Ilo) ha fissato a cento la quota di reddito che andava ai salari nel 1960 e ne ha calcolato la variazione successiva. In Italia è rimasta allo stesso livello fino all’inizio degli Anni Settanta , poi è scesa rapidamente e nel 2007 era a livello 85 . In Francia, sempre nel 2007 , è scesa a 88 , in Germania a 90 , nell’area euro a 89 . In Gran Bretagna è rimasta a quota cento ma bisogna notare che negli Anni Settanta e Ottanta era salita a 110 . La tendenza è la stessa per Stati Uniti (ma minore che in Europa), Canada, Cina, Giappone (che scende addirittura a 80 ), Australia, India.
Lo studio dell’Ilo — che si dichiara post-keynesiano, cioè particolarmente attento alla componente della domanda — trova una correlazione tra la caduta del monte salari e la crescita economica nei diversi Paesi, minore nei decenni in cui si registra un calo della quota di reddito da lavoro. Con l’eccezione non da poco, però, di Cina e India, dove pure la percentuale di reddito che va ai salari cala — attorno a 92 per i cinesi e a 79 per gli indiani — ma la crescita è molto forte. Inoltre, l’Ilo attribuisce le cause del fenomeno alle politiche «neoliberali» iniziate negli Anni Ottanta, in sostanza alle liberalizzazioni. Capire se sia proprio così è importante per stabilire cosa fare per modificare la tendenza, certamente non positiva.
Sul primo punto, il dubbio è che sia in realtà il rallentamento delle economie a trascinare un calo della quota del lavoro (essendo molte rendite indipendenti dall’attività economica). Sul secondo, c’è da notare che Paesi che più hanno liberalizzato, ad esempio Stati Uniti e Gran Bretagna, registrano perdite di quote del lavoro inferiori ad altri, come l’Italia e il Giappone, che di «neoliberismo» ne hanno visto poco. Piuttosto, sembrano essere la globalizzazione — con la corsa verso i salari più bassi — e le innovazioni tecnologiche — attraverso la sostituzione dei lavoratori con macchine — le forze motrici della tendenza. La prima in parte si sta correggendo, con l’aumento dei salari, in corso soprattutto in Cina. Sulla seconda si può intervenire solo attraverso una maggiore istruzione e formazione. Per il resto, meno tasse sul lavoro potrebbero aiutare. Resta il fatto che la questione è di rilievo assoluto: altri studi saranno necessari.