Valeria Costantini, Corriere della Sera 10/11/2013, 10 novembre 2013
L’UOMO CHE TORNÒ NEL FREDDO VITA E AFFARI DI ARMAND HAMMER
Rispondendo a un lettore ha citato Armand Hammer. Dalla sua breve descrizione emerge un personaggio davvero curioso. Vuole darci qualche informazione in più?
Luigia Marchini, Varese
Cara signora,
A rmand Hammer appartiene a quel club di uomini d’affari (i membri italiani furono numerosi) che credettero sin dagli inizi nell’affidabilità commerciale del sistema sovietico e non smisero di lavorare con l’Urss neppure nei momenti più tesi della guerra fredda. Per giocare le sue partite Hammer aveva qualche carta in più. Era nato a New York nel 1898 in una famiglia di ebrei russi che avevano lasciato Odessa qualche anno prima. Suo padre era medico, militava nel partito socialista americano, aveva conquistato una carica direttiva e si era spostato infine su posizioni comuniste. Sembra che il figlio fosse stato chiamato Armand, alla nascita, in omaggio al logo del partito: arm and hammer, braccio e martello.
A ventitré anni, dopo una laurea in medicina alla Columbia University e una prima fortunata esperienza industriale in campo farmaceutico, il giovane Armand volle vedere il Paese della rivoluzione. Era appena terminata la guerra civile e la Russia bolscevica aveva bisogno di tutto, ma soprattutto di generi di prima necessità e medicinali. Hammer dimostrò subito di avere la straordinaria capacità di combinare la filantropia e gli affari. Conobbe Lenin, ne divenne amico, conquistò le simpatie dell’apparato sovietico e fu in molti casi il braccio capitalista del regime comunista. Quando lo conobbi a Mosca nel 1988, seppi che Lenin lo aveva ricompensato garantendogli una sorta di privativa sulla fabbricazione e il commercio delle matite. Una concessione modesta? No, soprattutto in un Paese che si preparava a scolarizzare un colossale numero di analfabeti .
A Mosca scoprii un’altra delle ragioni per cui Hammer era particolarmente gradito ai sovietici. Quando tornò negli Stati Uniti, alla fine degli anni Venti, fu autorizzato dai padroni a casa a portare con sè una parte del capitale artistico che il regime aveva venduto per rimpinguare le casse dello Stato. Ma restituì il favore mettendosi alla ricerca delle opere d’arte russe che si erano disperse negli anni precedenti. Non faceva viaggio a Mosca senza portare qualche pezzo ritrovato; e i suoi ospiti gliene erano grati.
L’amicizia con l’apparato politico e amministrativo dell’Urss continuò sino alla fine della sua vita. L’occasione del viaggio a Mosca, nel 1988, fu uno dei più ambiziosi progetti economici mai concepiti da un uomo d’affari italiano. Sollecitato dalla prospettiva di una nuova Urss, rinnovata da Michail Gorbaciov, Raul Gardini, amministratore delegato di Montedison, voleva trasformare 500.000 ettari di terra fertile, a nord del Caucaso, in un grande sistema agro-alimentare, una gigantesca fattoria dove tutto, dai prodotti alimentari ai fertilizzanti, sarebbe stato realizzato sul posto. Hammer venne a Mosca in quella occasione perché la sua società petrolifera (Occidental) aveva già creato, con Montedison e altre società, un consorzio per la costruzione di un impianto petrolchimico nel Kazakistan. Fu il momento più alto e promettente della perestrojka.
Il sogno caucasico di Gardini e Hammer durò soltanto due anni. L’uomo d’affari russo-americano morì nel 1990, Gardini si suicidò nel 1993, Montedison è scomparsa e le terre a nord del Caucaso, per quanto a mia conoscenza, sono nelle condizioni in cui erano allora. Sic transit gloria mundi.