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 2013  novembre 10 Domenica calendario

DILUVIO DI NORME E PAROLE PER IL CENTENARIO DI BURRI MA IL SUO CRETTO È IN ROVINA


Milletrecentonovantacinque parole per la sola proposta di legge più il diluvio di tutte le altre nei cerimoniosi rituali successivi: niente attesta il pantano procedurale delle Camere quanto l’istituzione di un comitato per le celebrazioni del centenario di Alberto Burri. Un delirio. Mentre il celeberrimo Cretto dell’artista a Gibellina versa da anni in condizioni catastrofiche.
Sia chiaro: che il pittore e scultore umbro nato a Città di Castello nel 1915 meriti di essere ricordato è ovvio. Come ricorda la stessa proposta di legge firmata da un gruppo di parlamentari (primo fra tutti il pd Walter Verini, lui pure di Città di Castello) Burri «può essere considerato, a giudizio di molti, d’importanza paragonabile ai grandissimi nomi della prima metà del secolo per la qualità delle opere, ma anche per la radicalità dell’innovazione». Le sue opere sono esposte al museo Guggenheim di New York, al Centre Pompidou di Parigi, alla Tate Gallery di Londra… Per non dire delle mostre allestite via via nelle sedi più prestigiose, come le nostre Scuderie del Quirinale.
Evviva. Ma il punto non è questo. È il «modo» con cui l’Italia si è preparata a celebrare questo suo figlio illustre. Sono anni infatti, come dicevamo, che una delle sue opere più significative, il Cretto di Gibellina, è abbandonata a se stessa. Non è un pezzo d’arte qualunque, il Cretto. È la più grande opera di «land art» d’Europa. Una delle più grandi del mondo.
Davanti alle rovine del paese del Belice devastato dal terremoto del ‘68, lo Stato, la Regione, il Comune stesso rinunciarono a tentare la ricostruzione del borgo per costruire più a valle, su terreni che appartenevano ai grandi esattori Nino e Ignazio Salvo, la prima «new town» italiana, Gibellina Nuova. Spiegò l’allora sindaco Ludovico Corrao, appassionato di arte: «Non c’era niente da conservare. Solo i valori nostri della solidarietà, della famiglia, del lavoro. Il resto era miseria, isolamento e oppressione».
E lì dove c’era la cittadina decisero di stendere un immenso sudario che coprisse le macerie, i morti, lo strazio. Un mantello grigio di cemento armato di 300 metri per 400, progettato e adagiato da Alberto Burri a partire dal 1985 e mai completato. Un mantello solcato da fenditure che riprendevano lo schema delle antiche stradine. Immaginato e costruito per onorare le vittime e insieme con la speranza che un’opera d’arte così imponente potesse diventare meta di pellegrinaggi.
Poi se ne sono dimenticati tutti. O quasi. E di anno in anno il Cretto del Burri ha cominciato a creparsi. E dove si apriva una fenditura lì cresceva l’erba che faceva spazio ai cespugli che allargavano la crepa facendo spazio agli alberelli che con il tempo sono diventati alberi. Una vergogna. Aggravata dalla decisione di costruire sulla cresta della collina del sacrario una serie di pale eoliche. Per anni, Governo e Regione e Comune hanno giurato che di lì a poco sarebbero cominciati i restauri. Nel 2008, quattro decenni dopo il terremoto: «Partirà la prossima estate, diventando di fatto “il più grande restauro di arte contemporanea finora mai realizzato in Italia”…» Nel 2009, quando l’assessore regionale alla cultura Vito Leanza dichiarò trionfante: «È una promessa mantenuta». Nel 2010, quando il ministero dei Beni culturali assicurò: «Salvo il Cretto di Burri». Giura oggi Maria Rita Sgarlata, alla quale Rosario Crocetta ha affidato la cultura, che stavolta è fatta davvero: «Nei primi mesi del 2014, fatti gli appalti, partono i lavori». Auguri.
E mentre lì nel Belice l’agonia del Cretto infestato dalle erbacce non è ancora finita, in Parlamento è partito un tormentone per dedicare all’artista solenni celebrazioni. Punto primo, una proposta di legge con 75 parole in più della Dichiarazione d’indipendenza americana che dice che lo Stato «celebra la figura di Alberto Burri nella ricorrenza del centenario della sua nascita» e declama come col Burri «lo spazio diventa non più teatro della rappresentazione, ma suo protagonista assoluto, gravido di una drammatica profondità e percorso da tensioni e contrasti di forze» e istituisce il «Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita di Alberto Burri, di seguito denominato “comitato”» e specifica che questo «è composto dal presidente del Consiglio dei ministri, che lo presiede anche attraverso un suo delegato, dal ministro per i Beni e le attività culturali…» e che deve provvedere alla «individuazione, valutazione e approvazione delle iniziative, in Italia e all’estero, per le celebrazioni…» nonché alla «predisposizione del programma delle iniziative di cui alla lettera a), da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale» e bla, bla, bla, bla…
Ma questo è solo l’inizio. Presentata alla Camera il 26 marzo scorso, la leggina è stata assegnata alla commissione Cultura in giugno, ha visto la nomina di un «comitato ristretto» in luglio ed è stata infine inviata per un parere non a una ma a tre commissioni parlamentari e cioè la I (Affari costituzionali) e la V (Bilancio) di Montecitorio più la Bicamerale per gli affari regionali. Ogni commissione, a quel punto, ha discusso e infine nominato un relatore che in autunno ha letto ai colleghi una prolissa relazione sulla leggina preparata dagli uffici (in Bicamerale è toccato al professor Giampiero Dalla Zuanna, esterrefatto dal delirio procedurale) invitando a dare parere favorevole.
Finita? Magari! Uscita dalle commissioni, la leggina andrà in aula dove un nuovo relatore relazionerà sulla relazione, si valuterà se ci sono emendamenti (facciamo le corna…) dopo di che ogni gruppo dichiarerà il proprio voto fino alla votazione finale. Finita? Magari! La leggina andrà poi al Senato dove tutto si ripeterà pari pari sperando non ci siano ritocchi sennò tornerà tutto a Montecitorio. Finita? Magari! A quel punto la leggina passerà al vaglio della ragioneria dello Stato. Poi finirà sul tavolo di Giorgio Napolitano per la firma e la promulgazione. E infine, dopo l’impiego d’una folla di parlamentari, funzionari, commessi, sarà stampata sulla Gazzetta Ufficiale.
Nel frattempo, i cinesi avranno costruito cento nuove stazioni della metropolitana e cento chilometri di una nuova circonvallazione di Pechino e cento musei d’avanguardia dove accogliere, chissà, anche le opere di Alberto Burri.