Corrado Zunino, La Repubblica 10/11/2013, 10 novembre 2013
L’ULTIMO SACCO DI ROMA COSÌ I PREDATORI DELLA CASTA HANNO SPOLPATO L’AZIENDA DEI BUS
LA GENEROSA Atac oggi ha nel suo ventre 854 assunti, in quattro anni e con raccomandazione della destra di Roma, con il “gruppo Alemanno” capace di depredare con un’intensità e una rapidità senza precedenti, corti di velociraptor cresciute attorno al sindaco del Fronte della gioventù. Oggi un’azienda così viene tenuta in vita dalle banche solo per la spartizione a breve delle sue spoglie pubbliche, un certo patrimonio immobiliare ovviamente lasciato a marcire.
Dice il sindaco in carica Ignazio Marino: «Non sarà mai più come prima, cambieremo tutto, ho già cambiato». E ha chiesto in queste ore una dettagliata relazione all’amministratore delegato da lui insediato. Il problema è che il nuovo ad Danilo Broggi, che pure ha tuonato per imporre una linea gerarchica in discontinuità, lo scorso 27 settembre ha firmato un organigramma in cui i “falsi stampatori di ticket” — la doppia fatturazione dei biglietti, 70 milioni extra in nero utili per finanziare la politica romana — erano ancora tutti lì. Alla guida della direzione “gestione e manutenzione della bigliettazione elettronica” Broggi il 27 settembre ha confermato Gianluigi Di Lorenzo, manager di punta della Erg in Italia, la società australiana che per prima ha fornito il software per i biglietti. Quando l’ad lo ha ribadito al suo posto, Di Lorenzo aveva già ricevuto un avviso di garanzia. Ecco, l’azienda Erg sul fronte fattura ed emissione dei biglietti ha comandato per quindici anni (e comanda tuttora) all’esterno e all’interno della sbrindellata Atac. Ieri, infatti, i pm Pioletti e Condemi, titolari dell’inchiesta, hanno deciso di acquisire tutti gli atti che riguardano il rapporto tra Atac ed Erg (entrata nel ’98 con Rutelli sindaco a 30 milioni l’anno e, visto che l’azienda pubblica non controllava più gli incassi, portata in seno al Campidoglio nel 2003, sindaco Veltroni).
Un’azienda di trasporto che sposta quattro milioni di persone al giorno, molti dei quali viaggiano con biglietti falsi venduti dalla stessa Atac che si possono obliterare all’infinito, oggi non ha un euro per pagare gli straordinari e rinnovare un parco mezzi da rottamazione. Con 12mila dipendenti — un’enormità —, l’azienda perde 150 milioni l’anno. E sulla testa della pubblica società per azioni ci sono almeno tre robuste inchieste penali. Sui ticket falsi c’è già la richiesta di rinvio a giudizio di 15 persone per truffa e falso. Poi — stessa questione, altra indagine — s’indaga sul black out del software che i ticket genera. Ma l’inchiesta — prima giornalistica e poi di procura — che ha disegnato le attitudini di questa azienda da prima e terza Repubblica è quella sulle assunzioni. È esplosa nel dicembre 2010 (abuso d’ufficio): 854 chiamate dirette (altre 954, separatamente, le aveva fatte l’Azienda municipalizzata ambiente, l’Ama).
Tra gli imbarcati Atac, si è scoperto, l’ex amministratore e contemporaneamente consulente Adalberto Bertucci garantì per dieci: il figlio, il genero, il nipote, la cognata del figlio, l’ex segretaria, il figlio dell’ex segretaria, la nuora dell’ex segretaria, la figlia della segretaria del figlio, poi l’ex vicesindaco di Guidonia e il vicesindaco di Montelibretti, tutti amici suoi, ras di provincia del Pdl. Il sindaco di Roma Alemanno in proprio allargò l’azienda all’ingresso del figlio del suo caposcorta (la figlia, invece, fu accasata all’Ama). E l’ex capo di gabinetto di Alemanno, su regia di Luigi Bisignani, di Atac diventò amministratore delegato. L’assessore alla Mobilità di quella giunta, Sergio Marchi, ne piazzò otto. Riuscì a far entrare persino l’ex fidanzata di un suo collaboratore. La ex. Almeno sette tra deputati e senatori del Pdl sistemarono famigli, collaboratori e amanti. L’eurodeputato Antonio Tajani fece assumere l’ex assistente parlamentare, il deputato Vincenzo Piso — presente alla cena a casa di Riccardo Mancini in cui si è decisa l’accelerazione dei falsi ticket da far circolare — un collaboratore. Il deputato Gianni Sammarco, già coordinatore romano del Pdl, ha regalato allo scandalone quell’esprit sexy capace di seppellire una tragedia sotto un dar di gomiti. Fece entrare in Atac, come segretaria personale del direttore industriale Marco Coletti, Giulia Pellegrino, 25 anni. Bellissima. Venne segnalata in virtù di un curriculum riassunto dalla foto in cui la si vede ballare in hot pants e cappellino militare sopra la pedana di una discoteca. Una cubista, quello che mancava all’Atac. «Sono una hostess nei locali», puntualizzerà lei piccata, «accompagno i clienti ai tavoli».
Nelle assunzioni del generone Atac ci sarà anche la cordata dei neo-post fascisti. Come Francesco Bianco, ex Nuclei armati rivoluzionari, preso in Trambus e spostato in azienda. Detto che in quelle liste c’erano molti parenti di sindacalisti — soprattutto Uil e Cisl — e che in passato anche il figlio dell’ex caposcorta di Walter Veltroni fu arruolato presso la rimessa di Grottarossa, il filone neo-post fascista è centrale nella storia dell’Atac deviata. Il dominus dell’affaire biglietti falsi è stato infatti quel Mancini, già avanguardista nazionale, che voleva trasformare l’Eur spa in una macchina da guerra e sarebbe stato arrestato per le tangenti sui filobus della Breda.
Il sindaco Marino sembra non avere la forza per spezzare i legami con questo passato, visto che ha confermato Roberto Grappelli presidente dell’azienda sconquassata. In mezzo agli stipendi assurdi dell’alta dirigenza dell’azienda, Grappelli ne prende tre, due garantiti dai suoi ruoli nell’Ogr Officine grandi revisioni (e non si capisce a cosa serva un’officina interna quando poi il cambio delle gomme dei bus è stato appaltato fuori). E Grappelli ha pure il bonus per gli obiettivi (ecco, 150 milioni persi ogni anno è fin qui l’obiettivo raggiunto). In questa Atac che ha garantito a sette dirigenti liquidazioni da 4 milioni «anche in caso decidano di cambiare lavoro», che anticipa al costruttore Parnasi venti milioni per cambiare sede e poi non la cambia (ma non ottiene indietro l’anticipo), che gestisce il personale con superminimi ad personam che raddoppiano lo stipendio, tredici dirigenti si sono appena rifiutati di aderire alla spending review pretesa dall’assessore Improta: nessuna riduzione del dieci per cento sugli stipendi, «quei soldi ce li meritiamo tutti».