Marco Ansaldo, La Stampa 10/11/2013, 10 novembre 2013
LIPPI RE ANCHE DELL’ASIA “NESSUNO COME ME
E DA QUI NON MI MUOVO” –
«La differenza tra vincere la Champions League in Asia e in Europa è solo una sfumatura perché vincere è difficile ed entusiasmante ovunque». In Cina è notte fonda quando Marcello Lippi risponde al telefono nel ristorante dove cena con i collaboratori italiani e con la famiglia che l’ha raggiunto per vederlo conquistare la Coppa dei Campioni asiatica con l’Evergrande di Guangzhou, la Canton dei nostri ricordi scolastici. Uno a uno in casa contro i coreani, dopo il 2-2 della finale di andata a Seul. Un altro trionfo in fondo a un pareggio, come con la Juve nel ‘96 e con la Nazionale 10 anni dopo: il suo destino è di vincere soffrendo fino all’ultimo. «Questa volta però l’andamento della partita non giustificava un risultato diverso - racconta - Nel primo tempo potevamo segnare due gol, nel secondo dopo il loro pareggio per un nostro errore ci hanno offerto gli spazi per andare in porta. C’era come sempre la paura di vedermi sfuggire la Coppa dopo aver raggiunto la finale. Ma sarebbe stata un’ingiustizia, anche pensando al cammino nel torneo: prima di questi pareggi avevamo vinto le ultime 6 partite, in casa e fuori».
Sente di aver conquistato la Cina?
«Il calcio qui è un sport piccolo benché i numeri sembrino grandi perché ci vivono 1 miliardo e 400 milioni di persone. Non siamo uno sport popolare però la gente comincia a seguirlo e a entusiasmarsi. Allo stadio c’erano 60 mila spettatori, fuori erano in 70 mila a festeggiare alla loro maniera. È stato emozionante».
In un anno e mezzo in Cina ha vinto tutto, compresa questa Coppa che era un tabù. A dirla così sembra che non aspettassero che lei.
«Non è stato per niente facile. Abbiamo dovuto lavorare moltissimo sotto l’aspetto tattico, tecnico e di allenamento».
La difficoltà più grande?
«Tutto l’insieme. In Cina c’è un enorme materiale umano e tutto è possibile e grandioso: pensi che nella mia società hanno avviato un programma che coinvolge 2 mila ragazzi e le loro famiglie che vivono lì. Hanno costruito un centro sportivo con 80 campi per allenarsi. Ma non c’è la nostra tradizione, direi l’abitudine a pensare il calcio. Per questo ho voluto uno staff italiano. Però ho visto la squadra crescere ogni mese e le vittorie hanno portato fiducia. È una delle due cose di cui mi sento orgoglioso».
E l’altra?
«Essere l’unico ad aver vinto la Champions League in Europa e in Asia, più un Mondiale. Anzi due, perché con la Juve ho vinto anche quella di club. E successe in Asia, a Tokyo».
Pensava che fossero emozioni impossibili da rivivere dopo quanto successe ai Mondiali in Sudafrica?
«Uscii da quella esperienza con la certezza che dovevo rimettermi in gioco. Anche dopo il 2006, nei due anni in cui rimasi fermo, ricevetti molte offerte dall’estero ma non le accettai perché non ne avvertivo il bisogno. Stavolta ho sentito che dovevo ripartire»
Proprio lei che per una vita non si è mai allontanato da Viareggio è finito così lontano.
«Dieci mila chilometri sono tanti. Rivedere casa due o tre volte l’anno e la mia famiglia poco di più è stato un sacrificio per me e soprattutto per chi restava in Italia. Questa vittoria la dedico a loro, come le altre. E siccome in tv mi hanno ricordato che era il compleanno di Del Piero, ne dedico un pezzo anche a lui, che è stato un onore allenare».
Si sente integrato nel mondo cinese?
«Integrato è una parola grossa, viviamo molto all’europea. Però la città è un miscuglio interessante di vecchio e di nuovo, mezza New York e mezza antica Cina. E c’è un clima molto gradevole»
Pensa di restarci anche dopo la scadenza del contratto, nel prossimo dicembre, o a 65 anni cerca altro?
«Qui sto benissimo e c’è ancora tanto da fare e da vincere. Anche per me. L’entusiasmo che ho visto crescere in questi mesi mi spinge a lavorare ancora perché quello che si è vissuto continui: vincere per una o due stagioni può essere un momento fortunato ma se prosegui è bravura. Non sarà facile ripetere una stagione fantastica come questa. Ci riproverò».