Enzo Biagi, La Stampa 10/11/2013, 10 novembre 2013
IL FILM DEL 22 NOVEMBRE PROTAGONISTA
L’AMERICA –
Ecco il racconto - inedito - scritto da Enzo Biagi nella giornata che cambiò la Storia, ora per ora, con molti protagonisti
Enzo Biagi
uesto è diario di una giornata, 22 novembre 1963, venerdì. Una cronaca succinta, si capisce: protagonista è l’America.
Sono le otto. Sulla Highway 169 corre una Ford rossa, modello giardinetta. Robert Dean Stround, agricoltore, accende la radio: piove, il bollettino prevede un po’ di neve nella serata. Sta andando al mercato col nonno, Tilton Pear Stround, ottantun anni: «Vedrai che aumenta il prezzo del foraggio», dice il vecchio.
Will Fritz, capo della sezione omicidi di Dallas, ha già fatto colazione e non ha neppure dato un’occhiata ai giornali, come fa sempre. È uscito presto, questa mattina, ci tiene che il servizio fili liscio. Gli dispiacerebbe che anche Kennedy fosse accolto male. A Stevenson, due settimane fa, tirarono persino i pomodori.
Allan Smith, boy-scout di anni quattordici, anzi, per la verità: caposquadra dei boys-scouts, è contento: la Stockard Junior High School fa vacanza; gli studenti vanno a vedere il Presidente. Può guardare con comodo i fumetti di Dick O’Shai, il piccolo cow-boy.
A Chicago, in un appartamentino della Michigan Avenue, muore Irving Vaugham, il più vecchio cronista sportivo della città. Gli volevano bene. «Irving», dicono i colleghi, «era in gamba: non adoperava mai metafore e frasi fatte». Danny Kaye è allegro, si fa la barba canticchiando: alle dieci, a Beverly Hill, gli daranno il premio Brotherhood.
Nella hall dell’Hotel Texas, a Fort Worth, c’è una enorme confusione. Duemilacinquecento persone prenderanno parte al «breakfast» in onore di John Kennedy. Fa freddo, ma il Presidente scende senza cappotto e senza cappello. Si scusa per il ritardo di Jacqueline. «A lei - dice ridendo - occorre più tempo». Jackie, come la chiamano in famiglia, è incerta: ha portato con sé tre abiti, un tailleur bianco, che ha comperato a Parigi, una gonna nera, con mantello; sceglie un vestito rosa chiaro, di lana, con un cappellino dello stesso colore, che si intona perfettamente.
Robert Rodgers, di Gastonia, North Carolina, impiegato, esce per andare all’ufficio. Dice a Mary, la moglie: «Ho deciso: investo i nostri risparmi in azioni della General Motors». Mary vorrebbe cambiare la macchina, e una pelliccia; non gli dà come di consueto il solito bacio.
I ragazzi dello Spartans di Chicago cominciano l’allenamento; domenica debbono affrontare quei diavoli dell’Illinois, ed è in gioco il titolo. Si prevedono ottantamila spettatori; non si può davvero perdere. Sul campo sgocciola una nebbia grigia. Il terreno è pesante.
Un tipo che chiameremo X.Y., che potrebbe anche chiamarsi Lee H. Oswald, beve il caffè in silenzio. Il bambino piange nel letto, la moglie sta friggendo le uova. X.Y. è un giovanotto piccolo, gli occhi gonfi da pugilatore, i capelli che diradano sono mossi, in disordine. Ogni tanto si tocca la tasca posteriore dei pantaloni. Il bambino continua a frignare.
«Fallo stare zitto», scatta.
A Washington, miss Maud Shaw, governante di John e Carolina Kennedy, è un po’ arrabbiata. Questa mattina John Kennedy Jr. fa i capricci: non vuole prendere le gocce di vitamina.
Ore 10,35. L’aereo del Presidente Kennedy rulla sulla pista di Fort Worth. Dalla torre danno il premesso di decollo: via libera. Le condizioni atmosferiche non sono eccellenti, ma il volo si annuncia tranquillo.
A Dallas, Will Fritz ispeziona i suoi uomini. «Attenti - ripete - che non voglio storie». «Tutto in ordine, capo», lo assicurano i poliziotti.
Sulla 169ª la Ford rossa che porta Robert Dean Stround e il nonno al mercato ha rallentato la marcia; è sceso un nebbione compatto, e si vedono a mala pena i fari gialli delle altre vetture. Il ragazzo Allan Smith, quarto corso della Stockard Junior High Scholl è proprio contento: è in prima fila, e quando il corteo del Presidente arriverà, lui potrà vederlo benissimo.
Allo Stock Exchange di New York, i risparmi di Robert Rodgers di Gastonia, N. C., vengono scambiati con le azioni della General Motors. Alla Borsa del grano di Minneapolis, russi e americani discutono sulle modalità di pagamento delle forniture. Buoni affari, oggi, negli Usa.
Il tipo che chiamiamo X.Y., e che potrebbe anche chiamarsi Lee H. Oswald, si affaccia ogni tanto alla finestra d’angolo di un edificio di Dallas. C’è molta gente sulla strada. Da un pacco avvolto in carta di giornale tira fuori un fucile col binocolo. «Da qui», pensa, «non si può sbagliare». Ha ventiquattro anni, ma ha girato il mondo, è stato anche in Russia. Lavorava in una fabbrica di Minsk; ha sposato una ragazza di laggiù. La Russia, pensava, è il Paese della libertà e della giustizia. Buttò il suo passaporto sulla scrivania di un impiegato dell’ambasciata americana a Mosca, gridando: «È come uscire di prigione». Non è agitato.
A Chicago i ragazzi dello «Spartans» hanno finito di provare gli schemi della partita, e corrono sotto le docce. L’allenatore si raccomanda: «Cinema nel pomeriggio, e a letto presto. Intesi?».
Sono le 11,37. Il D.C. 8 che ha sui fianchi la scritta «United State of America» atterra a Dallas. Jacqueline Kennedy scende per prima. Stringe molte mani, c’è una piccola folla festosa sparsa attorno alla scaletta. Qualcuno le offre un grande mazzo di rose bianche. Si forma subito il corteo delle automobili. La gente applaude il Presidente. Dice Jackie: «Non puoi proprio dire che Dallas non ti sia amica», e John sorride.
Will Fritz è soddisfatto, tutto procede per il meglio, e magari alla fine non è escluso un elogio, e perché no?, un aumento di stipendio. Allan Smith, il boy-scout, batte le mani ai poliziotti in motocicletta che passano rombando. Proprio un bello spettacolo. Miss Maud Shaw porta i bambini Kennedy a giocare nel parco; fa indossare a John Jr. e a Carolina il paltoncino perché tira vento. Il personaggio che chiamiamo X.Y. e che potrebbe chiamarsi anche Lee. H. Oswald prova un paio di volte il caricatore del fucile. Tutto in ordine. Sulla Ford rossa modello giardinetta Robert Dean Stround e il nonno ascoltano la radio; dice che Kennedy è arrivato a Dallas, e che farà un discorso.
Sono le 12,30. L’autocolonna del Presidente sfila sotto il passaggio che porta alla Stemmon Expressway. Adesso il corteo è proprio arrivato davanti allo studente Allan Smith, di quattordici anni, caposquadra dei boy-scouts. Allan applaude. Poi si sentono tre spari. Un gran trambusto. «Il Presidente», racconta il ragazzo piangendo, «sorrideva». Quando la pallottola l’ha colpito la sua faccia è diventata bianca, ed è caduto sulle ginocchia di Jackie che si è alzata gridando: «Oh Dio».
Le auto corrono verso l’ospedale. Will Fritz e i suoi uomini si precipitano agli ascensori dell’edificio da dove hanno sparato. Salgono al quinto piano. Per terra ci sono tre bossoli.
Jacqueline sostiene un braccio di John Kennedy; il sangue è caduto sulla sottana, ha macchiato le calze. Le rose bianche rimangono sul sedile, abbandonate.
Walter Cronkite, commentatore numero uno della C.B.S., sta per andare a pranzo. Lo chiamano d’urgenza in servizio. Radio e tv iniziano una drammatica serie di trasmissioni. Sulla Ford rossa modello giardinetta il vecchio Tilton Pear Stround dice al nipote: «Quelli della televisione ci rimettono un milione di pubblicità».
Will Fritz ha sguinzagliato i suoi uomini: «Che Dio ci aiuti», pensa. I medici del Park Lane Hospital tentano la trasfusione di sangue; Jacqueline attende nella stanza accanto alla sala operatoria. Si controlla, non piange.
Sono le 13. Walter Cronkite riceve una cartella e legge: «Il Presidente è morto».
Will Fritz, nella sede della polizia, comincia gli interrogatori. Il ragazzo Smith racconta al nonno: «La faccia del Presidente è diventata bianca».
La Ford rossa modello giardinetta degli Stround cammina nella nebbia: ora la radio trasmette l’«Ave Maria» di Gounod. Attraversa un passaggio a livello, «Non si vede un accidente», dice il giovane Robert Pear. Non si vede nemmeno il treno che sta arrivando. «Due morti a un passaggio a livello», telefona mezz’ora più tardi un cronista del «The Des Moines Register».
La Borsa di New York cade: le azioni della General Motors perdono due dollari e un quarto. La signora Rodgers di Gastonia, N.C., pensa alla sua pelliccia. Danny Kaye pensa che nessuno saprà nulla del suo premio. Il nostro personaggio che chiamiamo X.Y. e che potrebbbe anche chiamarsi Lee H. Oswald, pensa di andare in un cinema, o in un teatro. Guarda un giornale. Danno un film di Disney: «The Incredibler Journey», Un viaggio incredibile. Compera un biglietto ed entra.
Un operaio di Cape Cod, Massachusets, che ha sentito la notizia per radio, pensa di avvertire la madre del Presidente. La signora Rose ha settantadue anni. Il padre, Joseph, sta dormendo. Jacqueline Kennedy pensa a come farà a dirlo ai suoi bambini, vuole essere lei, tocca a lei, Lee H. Oswald pensa a quello che dirà se lo arresteranno: «Non so di che cosa si tratta, non ho fatto niente».
Il direttore del «Chicago Sun Times» non sa che titolo mettere al suo pezzo. Pensa un po’, poi scrive «L’America piange».