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 2013  novembre 10 Domenica calendario

ANGELO O ANZOLO? LA DISFIDA DI VENEZIA SUI NOMI DI CALLI E RII


In veneziano, canale si dice «rio». Se lo interri per farci camminare sopra la gente, diventa «Rio terrà». Uno dei più celebri è «Rio terrà degli assassini». Ma quando lo devi scrivere, allora cominciano i guai: con una «r», con due, e quante «s» per assassini? E la scelta fondamentale: in dialetto o in lingua italiana, facendolo diventare «Canale interrato degli assassini»?
Il Comune ha deciso di riscrivere le indicazioni toponomastiche della città, riprendendo il «Catastico» - noi oggi lo chiameremmo stradario - del 1786. L’ultimo redatto prima della caduta della Repubblica Serenissima, che col Trattato di Campoformido del 1797 verrà ceduta da Napoleone - il Bonaparte qui non ha mai goduto di buona stampa - all’Impero Austriaco. Ma sui modi di questa riscrittura si è accesa una disputa che appassiona i veneziani e che, tuttavia, appare irrisolvibile.
A Venezia, caso unico e meraviglioso, i nomi delle strade non sono scolpiti sul marmo delle targhe o marchiati sulla plastica dei pali stradali. Vengono scritti a mano sui «nizioleti»: lenzuolini rettangolari in malta, tinteggiati di bianco sui muri stessi delle case e dei palazzi, circondati da una cornice nera, come nere sono le lettere che formano i tanti nomi delle calli, delle salizade, dei ponti, dei campi, delle fondamenta... E’ un’arte antica: si sale sopra una scala, un’asse di legno serve a mantenere la scrittura dritta, le diverse lettere dell’alfabeto sono sagomate in forme di latta. L’abilità dell’artigiano sta tutta nel manovrare il sottile pennello e nel centrare la scritta all’interno del «nizioleto». Vederli nascere, è uno spettacolo. Poi, l’umidità, la salsedine, il tempo fanno il loro lavoro, la scritta svapora e ogni pochi decenni bisogna provvedere a risistemarla. Ma i criteri non sono mai stati definiti e ancora oggi girando per la città capita di vedere «nizioleti» (la pronuncia corretta è: «ninsioleti») in contraddizione tra loro: «Sestier» e «Sestiere», «Sotoportego» e «Sottoportico», «Cannaregio e Canaregio», «Parrocchia» e «Parochia».
Irrisolvibile appare il problema delle doppie: nel cognome del vostro cronista, ad esempio, c’è un immenso spreco di inutili doppie: la «p» e la «t» perdono nella pronuncia il raddoppio, mentre la «l» sparisce del tutto. Però si scrivono, tutte. E dunque: lingua parlata o scritta, sui nizioleti? Il primo marzo dello scorso anno la giunta ha approvato «una deliberazione che fissa per la prima volta, dalla caduta della Serenissima, la toponomastica storica», dichiara orogogliosa Tiziana Agoatini, assessore alla Toponomastica. E, in un comunicato sul sito del Comune, precisa: «La grafia in uso a Venezia già nel 1786 si presenta simile all’italiano anche se poi nella pronuncia è molto diversa. Il problema che si è generato è legato alla pronuncia del veneziano, molto diversa dalla forma scritta. Durante il lavoro di ricerca abbiamo trovato evidenti errori di italianizzazione, come ad esempio “Calle de l’Anzolo” registrata nel 1996 ancora come tale, ma ridipinta nel 2010 “Calle dell’Angelo”, che ora è ritornata all’antico idioma. Abbiamo modificato “dietro” riportandolo a “drio” e cancellato gli articoli “lo” e “gli”, come ad esempio «Riva degli Schiavoni», diventata “Riva dei Schiavoni”».
Nonostante le assicurazioni, le polemiche non si placano: i 55 mila residenti superstiti del centro storico, che già si sentono espropriati della loro città travolta da 20 milioni di turisti ogni anno, vedono il rischio che anche la (superstite) identità linguistica della Serenissima che fu venga smarrita.
In una battagliera dichiarazione, il Presidente della Regione Luca Zaia si dice «pronto a salire con la scala per ridipingere i nizioleti, la lingua veneta va difesa, tutelata e valorizzata». Calma: il veneto è una cosa, il veneziano è un’altra. Zaia è nato a Conegliano, in provincia di Treviso, al di là dal ponte, quello che unisce Venezia e la Terraferma. E da secoli, secondo i veneziani più snob, «di là dal Ponte xe tutta campagna». Infatti, l’assessore Agostini ribatte che «a fare polemica sono persone che in veneziano non si esprimono». Questa è una guerra intestina che va combattuta tutta all’interno dei sei Sestieri: Canaregio, Caste(ll)o, Dorsoduro, San Marco, San Polo, Santa Croce.
La doppia «l» di Castello è messa tra parentesi perché quella consonante, in dialetto, è definita «evanescente». C’è, ma è come non ci fosse. Gondola si dice «gondo(l)a», accennando appena, mentre si avanza la lingua verso i denti, a una lieve «e» aspirata da mettere tra la «o» e la «a»: «Gondoea». Evanescente risulta tutta la gran questione, ma la specialità nazionale, non solo veneziana, sembra diventata proprio questa: spendere settimane e mesi accappigliandoci attorno a ciò che svanisce.
Molto più inquieitante la definizione figurata che dei «nizioleti» dà Giuseppe Boerio, ottocentesco autore del più autorevole dizionario veneziano-italiano: «“Ghe piase i nizioleti” (Gli piacciono i nizioleti). Dicesi di chi “è vago di femmine di bassa mano, le quali vanno imbaccucate con lenzuoletto”». Delle talebane in laguna in tempi insospettabili?