Giuseppe Salvaggiulo, La Stampa 10/11/2013, 10 novembre 2013
UN MIRACOLO A ROSARNO SI ISCRIVE AL CAMPIONATO LA SQUADRA DEGLI IMMIGRATI
Di giorno negli agrumeti a 25 euro. Di notte al freddo della tendopoli senza energia elettrica. Solita vita, a Rosarno. Ma per una trentina di immigrati, che dopo la rivolta di quasi quattro anni fa, hanno deciso di tornare, questa stagione nella campagna calabrese comincia con una novità. Hanno creato una squadra di calcio, la prima tutta di africani, e si sono iscritti al campionato di terza categoria.
Portiere senegalese, difensore del Burkina Faso e così via. L’unico italiano è l’allenatore Domenico Mammoliti, che studia teologia e frequenta la parrocchia Sant’Antonio dove due anni fa è arrivato don Roberto Meduri, a cui si deve l’iniziativa calcistica. La squadra si chiama Koa Bosco. Koa è l’acronimo inglese di «Cavalieri del Santo Altare», «il bosco» è la contrada alla periferia di Rosarno dove, tra agrumeti e uliveti, sorge la parrocchia, vivono i migranti e nel gennaio 2013 si consumarono i più violenti episodi di caccia al nero. Per far uscire la parola «integrazione» dalle nebbie retoriche, don Roberto punta su cultura e sport. Quindi corsi di lingue, musica (ha costituito un gruppo di gospel che si esibirà a Natale) e calcio, perché «nulla meglio del pallone unisce, è il gioco di squadra per eccellenza e rappresenta l’armonia della collaborazione».
All’inizio non è stato facile. Mancava tutto: scarpe e tute (i calciatori si presentavano in pigiama e ciabatte), palloni, un campo di allenamento, i soldi per le trasferte. In compenso, si percepiva una certa ostilità ambientale. Non razzismo, ma diffidenza, per esempio nella condivisione degli spazi per gli allenamenti, che hanno costretto la Koa Bosco a emigrare a Palmi, a venti chilometri di distanza, che diventano un problema se c’è una sola auto, quella del parroco, a fare la spola per trasportare tutti.
Poi la situazione è migliorata. Da un rosarnese emigrato al nord sono arrivati i 2500 euro per l’iscrizione al campionato. La società di basket Viola Reggio Calabria ha offerto magliette, tute e scarpe. Il Comune ha messo a disposizione il campo sportivo su un terreno confiscato alla mafia. La Caritas si è attrezzata per garantire i pasti dopo allenamenti e partite. Resta il problema delle trasferte. Ieri, per l’esordio in campionato a Parghelia, ci si è arrangiati così: a piedi dalla tendopoli alla stazione di Rosarno (un chilometro e mezzo), in treno fino a Parghelia (biglietto andata e ritorno 5 euro, offerto all’ultimo momento dal proprietario della Stocco&Stocco, azienda locale che commercializza stoccafisso e baccalà), un altro chilometro a piedi dalla stazione di Parghelia al campo di gioco. Per la prossima volta, si spera in un pullman.
Partita combattuta, sconfitta 2-1. Secondo don Roberto, rientrato in auto anziché in treno per arrivare in tempo per la messa, «abbiamo giocato meglio, palla a terra, e non meritavamo di perdere, ma l’arbitro...». A mille chilometri di distanza, senza aver assistito alla partita, impossibile stabilire se la partigianeria del tifoso abbia avuto il sopravvento sull’obiettività del sacerdote. Certo è sincero quando racconta «l’entusiamo dei ragazzi, nonostante la sconfitta» e la bella accoglienza ricevuta: mazzi di fiori, vassoi di dolci, applausi al gol degli africani. A sera, cena offerta dalla Caritas e discussioni sugli errori tattici. Poi tutti di nuovo nella tendopoli, sognando agli agrumi da raccogliere e la prima vittoria.