Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  novembre 09 Sabato calendario

IL CALCIO TRASFORMATO IN VIDEOGAME


Campioni del mondo. Campioni del mondo. Campioni del mondo”. Una frase semplice, ripetuta tre volte. L’essenzialità per suggellare l’epica: Italia-Germania 3-1, Mondiali ‘82, Sandro Pertini. Ieri la telecronaca era in sottrazione, oggi mira all’esondazione. È cambiato tutto. Da Nicolò Carosio e Nando Martellini fino a Bruno Pizzul, l’ultimo talento autentico del minimalismo applicato all’ugola pallonara. Il telecronista si metteva di lato, senza enfasi né tecnicismi, perché anche il calcio doveva essere di tutti. Dal tifoso alla casalinga di Voghera, non certo tenuta a conoscere i bizantinismi del fuorigioco. Rispetto ai maestri, Pizzul aggiunge poche cose: una timbrica inimitabile (e per questo imitatissima), adenoidi a profusione e termini adorabilmente desueti. È il calcio del “nonnulla”, che “sciaborda” e non ama gridare. Poi, la rivoluzione. A capeggiarla è Sandro Piccinini. La Rai non basta più e le tivù commerciali non hanno l’obbligo del basso profilo. Piccinini inventa una nuova telecronaca, spingendosi ben oltre i Massimo Caputi (accompagnato a sua volta dal mai troppo ricordato Giacomo Bulgarelli). La Rai si arena in una staticità che spaccia per tradizione, lasciando spazio a voci sin troppo pacate e non necessariamente competenti. Il servizio pubblico si comporta come un appassionato di musica che, di fronte agli iPod , si rifugia nel salottino di casa continuando a mettere vinili di seconda mano sul giradischi di famiglia.
LA RAI invecchia di colpo, sposando un linguaggio che vorrebbe essere Crusca ed è piuttosto popcorn stantio. Invece Piccinini esalta e guasta, con i suoi “non va!” e “incredibile!”. Le sue partite sono tutte una grandinata di “sciabolate”. La telecronaca diventa l’accompagnamento di un videogame, metaforicamente e non solo, perché i Fifa e i Pro Evolution Soccer scelgono proprio quelle voci per accompagnare la virtualità da Playstation. Il telecronista, d’un tratto e deliberatamente, assurge a star. Non più cantore, casomai coprotagonista. Un’accelerazione personalistica, che rende ancora più desueta la Rai e sfacciatamente ipermoderna la concorrenza. Se Mediaset sancisce lo strappo, la tivù a pagamento (Tele+, Stream, Sky) permette l’ultima mutazione. Chi si abbona è già acculturato: basta, dunque, con la telecronaca didascalica che ha mire pedagogiche. Il telecronista può osare, anzi deve. L’ego è incentivato a esplodere. Gli epigoni di Piccinini spuntano ovunque. Un cambiamento che ha molti lati positivi: se l’Italia risulta allergica al ricambio generazionale, quasi tutte le voci (e i volti) di Sky sono giovani. Realmente nuovi. E per giunta competenti, ai livelli di tanti piccoli nerd pallonari. Pizzul poteva sbagliare il nome di Nagatomo, ma Sky no: tutti un po’ secchioni, possibilmente alla moda e magari anche cool. Il parossismo delle esagerazioni. L’orgia della enfasi. Ogni gol merita un urlo, come facevano quei telecronisti brasiliani che un tempo sembravano eccessivi e oggi perfino morigerati.
FABIO CARESSA, il re degli urlatori, non è più un telecronista: è la versione giornalistica di Nanni Moretti recensito da Dino Risi. “Spostati, che devo vedere il film”. Se ascolti Caressa non guardi le partite: guardi lui. Il suo successo risiede nella reiterazione dell’iperbole. Vittima di un eterno orgasmo alle corde vocali, rischia sempre più di suscitare negli spettatori un coito interrotto sistematico. È un fantasista che fa sempre la stessa finta, divenuto anzitempo un po’ caricaturale, disposto a barattare il suo regno per un’iperbole a caso su un 6-0 qualsiasi. C’è chi insegue una via di mezzo, scandendo “Re-te” con approccio stentoreo (Compagnoni) e chi è caressiano senza dimenticarsi di prendersi un po’ in giro (Pardo). C’è chi è bravo, molto, e chi un po’ meno. C’è chi mette enfasi financo nel raccontare il riscaldamento a bordo campo di Saponara e chi narra con entusiasmo prossimo al nirvana un passaggio di Facundo Roncaglia. Dall’età della sobrietà ingessata all’era dell’eccitazione perenne. Chi rimpiange la prima, chi adora la seconda. E chi, quando sente parlare di cieli e Berlino, più che a Caressa pensa a Wim Wenders.