Walter Riolfi, Il Sole 24 Ore 9/11/2013, 9 novembre 2013
PERCHÈ LA BCE CONTA MENO DELLA FED
Il taglio a sorpresa del tasso Bce ha prodotto, giovedì, sui mercati obbligazionari e valutari reazioni comparabili a quelle, viste ieri, dopo lo "straordinario" balzo dei nuovi assunti in America. A voler essere provocatori, l’audace decisione di Mario Draghi ha sortito sull’euro uno scatto all’ingiù ampio quasi quanto era stato all’insù quello del giorno prima sulla falsa notizia di Mni: quella che la Bce avrebbe lasciato le cose come stavano. Se da tutto ciò si volesse trarre una morale, si dovrebbe dire che le decisioni della banca centrale europea hanno una scarsa influenza sui mercati, perchè ciò che conta è quello che fa la Fed. E per un popolo di trader e broker e di macchinette ad alta frequenza, tarate sulla mente dei primi due, ciò che conta è la droga dei quantitative easing somministrata dalla Fed.
Per questo, ieri, il rendimento del Treasury decennale è balzato di 15 centesimi, sullo "straordinario" aumento dei nuovi assunti: quando la sorpresa della Bce aveva prodotto ribassi di 7 centesimi al nostro Btp e di 5 al Bund: calo recuperato più che interamente ieri, perchè la non convenzionale politica monetaria americana pesa evidentemente più di quella convenzionale europea. Infatti, un frizzante mercato del lavoro negli Usa spingerebbe la Fed ad anticipare i tempi per una riduzione del Qe. Non a caso, ieri, analisti ed economisti si sono affrettati ad anticipare a gennaio un tale traumatico evento. Dimenticando che a gennaio i mercati ci riproporranno la supplizievole disputa sul tetto al debito pubblico, com’era avvenuto nelle prime due settimane di ottobre.
E poi c’è poco di straordinario nel numero dei muovi occupati, così come era stato giovedì nell’inaspettato rialzo (2,8%) del Pil Usa nel 3° trimestre. Se in quest’ultimo caso, almeno 0,85 punti sono dovuti all’aumento delle scorte, cosa che potrebbe pesare sulla rilevazione del presente trimestre, a pesare sul primo è il fatto che una buona parte dei nuovi assunti è arrivata da settori che impiegano manodopera a tempo parziale. Più importante è che ad ottobre sono stati persi 623mila lavoratori a tempo pieno e che la quota di partecipazione al lavoro è scesa dal 63,8% di un anno fa al 62,8%, il minimo dal 1978.
Non significa che le cosa vadano male negli Stati Uniti, anzi. Ma se il disegno della Fed è di mantenere gli attuali stimoli monetari fino a quando l’occupazione non calerà sotto il 6,5% (oppure ancor più in basso come suggerisce un articolo del WSJ del solito Hilsenrath, una sorta di portavoce semiufficiale della banca centrale), dovremmo aspettarci tassi a zero e probabili altri Qe per un tempo assai più lungo di quanto la fertile mente degli operatori possa immaginare. Per dirlo con le parole di Eric Rosengren, colomba tra le colombe della Fed, «tassi bassi e acquisto di titoli continueranno fino a quando migliorerà il morale» della popolazione. Ossia fino alla vigilia della prossima bolla speculativa, dopo la quale saranno necessarie misure ancor più draconiane di quelle messe in atto finora, ammesso che vi siano ancora le condizioni per farlo.
Intanto il morale degli americani, almeno dei trader e dei piccoli investitori che continuano ad acquistare Etf azionari, è già alle stelle. Se n’è avuta la prova anche ieri, dopo lo "straordinario" dato dei nuovi assunti. Perchè, mentre sui mercati obbligazionari e valutari si valutavano con preoccupazione le possibili ripercussioni sulla politica della Fed, a Wall Street l’indice ha ripreso a salire quasi annullando le perdite del giorno prima. A sentire gli operatori, adesso, ogni buona notizia per l’economia è diventata buona anche per la borsa, allo stesso modo che, fino al giorno prima, ogni cattivo dato aveva generato rialzi, perchè la Fed sarebbe stata più accomodante. Questo opportunismo o, meglio, questa voluta cecità della Borsa americana dinanzi a qualsiasi intoppo è il segno più evidente di una bolla che si sta formando. L’aspetto (per ora) consolante è che l’ottimismo di Wall Street fa bene anche all’Europa. Anche ai titoli delle banche italiane che ieri hanno recuperato parte delle perdite del giorno prima. Ben sapendo che i loro problemi stanno anche nel maggior costo dei finanziamenti: cosa che il semplice taglio dei tassi della Bce non può da solo risolvere.