Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  novembre 09 Sabato calendario

IL «TESORETTO» DI 237 MILIONI NELLE CASSE DI MONTECITORIO


È stata annunciata con enfasi come una svolta copernicana. Epocale. Per la prima volta da decenni la Camera dei deputati rinuncia a 50 milioni di contributo dello Stato, scendendo da una dotazione di 993 milioni a "soli" 943 milioni. Ma più che di una rivoluzione copernicana si tratta di un piccolo maquillage, che non cambia la struttura di un bilancio tuttora salatissimo per il contribuente. Anche quest’anno infatti Montecitorio spenderà 1,054 miliardi con un risparmio vero di solo il 3% sul 2012. E come uscite di cassa (quelle che contano) la cura dimagrante sarà di appena 26 milioni (il 2,2%) su una bolletta che nel 2012 è costata 1,185 miliardi. Un taglietto impercettibile viste le condizioni in cui versa il Paese. E soprattutto comodo e senza grandi sacrifici. Pochi sanno che la Camera (ma anche il Senato) dispone di un tesoretto cumulato e accresciuto negli anni che vale oggi 237 milioni. Sono gli avanzi di amministrazione (se fosse un’impresa sarebbero gli utili) che sono lievitati nel tempo. Questi soldi non spesi erano solo 102 milioni nel 2002 e sono sempre progressivamente saliti anno su anno più che raddoppiando nel decennio. Facile, fin troppo facile rinunciare solo oggi a 50 milioni di contributi dello Stato. Il tesoretto seppur più ridotto (14 milioni) c’è anche nella cassaforte del Senato che ha rinunciato già dal 2012 a 21 milioni (il 4%) di dotazione statale oggi a quota 505 milioni. Sia per Montecitorio che per Palazzo Madama più che un sacrificio in nome dell’austerità si tratta di una facile rinuncia.
Spese esponenziali
Si poteva fare di più, molto di più e da molto tempo prima. Alla Camera si è cumulato un tesoro, una riserva di cassa di 237 milioni che poteva essere restituita o vedere un taglio oggi più consistente, dato che l’iniezione di denaro pubblico per il funzionamento di Montecitorio è stata esponenziale. Si è passati infatti tra il 2001 e il 2010 da 755 milioni a 993 milioni con un aumento del 31,5%. Solo ora si scende a 943 milioni. Magra consolazione. Stesso film al Senato dove la dotazione pubblica è salita dal 2004 al 2011 di ben 80 milioni (da 442 milioni a 526 milioni con un +19%) e ora viene riportata a 505 milioni. Sempre tanti per far funzionare le fabbriche delle leggi. Del resto tagliare seriamente è quasi impossibile.
Stipendi e pensioni d’oro
Perché solo alla Camera gli stipendi di deputati e dipendenti più le pensioni degli uni e degli altri si portano via ogni anno 770 milioni, il 74% dell’intero bilancio. Al Senato è ancora peggio. Stipendi e pensioni a parlamentari e dipendenti costano 429 milioni. Su poco più di 1,5 miliardi che costa ogni anno l’intero Parlamento, ben 1,2 miliardi servono solo a pagare stipendi (lautissimi) e pensioni d’oro a un piccolo esercito dai ricchi privilegi, ora solo intaccati lievissimamente. Del resto come scalfire, solo per fare un esempio, la casta dei dipendenti della Camera? Sono 1.490 lavoratori, protetti da 11 sigle sindacali, (ognuna rappresenta poco più di 100 persone) che si spartiscono una torta retributiva che vale nel 2013 270 milioni. Ciascuno di loro dal commesso al barbiere, al documentarista, fino al segretario generale di Montecitorio costa ai contribuenti 181mila euro l’anno. Carriere automatiche, lavoro sicuro e incrementi copiosi anno su anno. Un segretario di Montecitorio parte da 34mila euro l’anno appena assunto e giunge a 156mila euro a fine carriera. Un operaio parte da 30mila e arriva a 136mila euro, mentre un consigliere parte da 64mila euro e dopo 40 anni gode di uno stipendio di 358mila euro. Una manna, il Paese di Bengodi che dura anche dopo la cessazione del lavoro.
I dipendenti in pensione della Camera costano tuttora 227 milioni di euro. I lavoratori e i pensionati del Senato costano alla collettività 246 milioni di euro, la metà del bilancio di Palazzo Madama. Altro che sacrifici. È una torre d’avorio intoccabile.