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 2013  novembre 09 Sabato calendario

LA BATTAGLIA DEI TAPPI


«Signori, si stappa». L’ingegnere-sommelier del film «Straziami ma di baci saziami» è in estasi. «Pianin, maledeto, vai di spalla, non a strappo», sibila il padrone di casa al cameriere (Nino Manfredi) indaffarato con il cavatappi su una bottiglia «di 57 anni». Il tappo esce, l’ingegnere gioisce. Poi scopre che non sta bevendo un «Frescobaldi 1911» ma un vinello di Velletri dell’ultima vendemmia. Finisce a sberle.
Lo spezzone del film di Dino Risi (1968) viene proiettato in questi giorni al Vittoriano, a Roma, alla mostra «La cultura del vino». Fotografa in chiave comica un mondo pieno, ieri come oggi, di sedicenti palati d’oro e di portatori di certezze assolute. Come quella che un vino non è tale se non ha un buon tappo di sughero.
Il dibattito sui tappi è rilanciato da una nuova legge. Rende possibile usare le capsule a vite su ogni bottiglia, lasciando i regolamenti ai Consorzi locali. La regola che prevedeva per i vini Dogc, come Brunello e Barolo, l’uso esclusivo del sughero, è cancellata. Una norma che divide: i tradizionalisti pensano che solo il sughero garantisca longevità e classe, gli innovatori ribattono che i nuovi tappi non solo eliminano il fastidio di incappare in bottiglie difettose, ma consentono pure invecchiamento più lento e minor uso di solfiti.
Parecchi vignaioli altoatesini già usano le chiusure a vite. Tra i primi Martin Aurich di Unterortl (l’azienda di Rainhold Messner), convinto che così si esaltino sapidità e mineralità del suoi Riesling e Müller Thurgau Castel Juval. Peter Pliger di Kuenhof, per i suoi morbidi Gewürztraminer e Sylvaner, ha ripudiato il sughero. Come Martin Kobler (Chardonnay ma anche Merlot) che sostiene: «Faccio vini di qualità, non al botox con il tappo a vite per restare artificialmente giovani». Il friulano Silvio Jermann usa la chiusura a vite anche per il celebrato Vintage Tunina e sui rossi. Un altro patriarca friulano, Livio Felluga, la sperimenta da tempo anche sul suo vino-bandiera, Terre Alte, così «ogni bottiglia si esprime al meglio». Molti altri gli esempi italiani: dal veneto del Soave, Pieropan, all’azienda del Roero piemontese, Matteo Coreggia, con la sua capsula verde per il Brachetto.
Le nuove capsule sono diverse da quelle usate decenni fa nei bottiglioni. Sono tecnologiche e in alcuni casi contengono un sistema anticontraffazione. Marco Giovannini, è presidente di Guala Closures Group (4.000 dipendenti, 13 miliardi di chiusure vendute in 100 Paesi, mezzo miliardo di fatturato): «Fino al 12% delle bottiglie italiane esportate — sostiene —, vengono rimandate indietro a causa del cosiddetto “sapore di tappo”. Prima Argentina, Nuova Zelanda e Australia, poi Austria e Svizzera hanno svoltato usando l’alluminio al posto del sughero. Su 20 miliardi di bottiglie prodotte ogni anno nel mondo, 4 hanno già la chiusura a vite. Con la nuova legge, anche da noi c’è ora libertà di scelta».
Frena gli entusiasmi Renzo Cotarella, enologo e amministratore delegato di Marchesi Antinori, 150 milioni di fatturato: «Stiamo sperimentando anche noi il tappo a vite, in qualche caso è diventato quasi obbligatorio, come per le forniture alle compagnie aeree. Il tappo a vite può funzionare per l’estero e per certe fasce. Ma il consumatore dei mercati tradizionali per le grandi bottiglie pretende un bel tappo di sughero carico di fascino».
Gli americani hanno un approccio più disincantato. Robert Parker, il più influente critico del vino al mondo, prevede che nel 2015 le bottiglie col sughero saranno la minoranza. I dati, raccolti da Wine Spectator , indicano che ciò non è probabile: in Nuova Zelanda i vini con la capsula sono il 91%, in Australia il 70%, in Argentina il 15%, in California l’8%, quasi come in Spagna (7%), mentre Francia e Italia sono in coda, con il 3% e il 2%. James Laube, esperto di californiani della rivista, ha lanciato un appello ai produttori: «Eliminare i tappi tradizionali è la migliore mossa per migliorare il vostro vino».
Sull’onda della liberalizzazione, il Consorzio del Soave e quello della Valpolicella, permettono il nuovo tappo anche per il Classico. E aprono a quello di vetro, già usato dai fratelli abruzzesi Ulisse per il Pecorino Unico e dai Loacker (gli austriaci dei wafer) nelle tenute toscane: «È riciclabile e, grazie a un anello in Pec, chiude la bottiglia in modo sicuro».
Se oggi si girasse il remake di «Straziami...», l’ingenere-sommelier non scambierebbe più la bottiglia antica con quella recente della cantina sociale. Invece di usare il cavatappi «con la spalla» Manfredi si fermerebbe davanti al tappo a vite.
Luciano Ferraro

(divini.corriere.it)