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 2013  novembre 09 Sabato calendario

“NO, CON L’IMPERATORE NON SI PUÒ” MA IL GIAPPONE SI RIBELLA AL PROTOCOLLO


Ha osato consegnare una lettera nelle mani dell’imperatore e per questo affronto sarà bandito a vita da cerimonie ed eventi in onore del trono del crisantemo. La condanna del presidente della Camera alta del Giappone, Masaaki Yamazaki, si è abbattuta sul popolare attore-avvocato Taro Yamamoto, 38 anni, eletto in luglio al Senato di Tokyo.
Il popolo più formalista del mondo però, per una volta, non condivide la linea del rigore e si schiera dalla parte del politico «che ha avuto il coraggio di compiere un gesto spontaneo e normale per un uomo di questo secolo ». Yamamoto si è scusato, ha ammesso di essere stato «un egoista» e di aver turbato Akihito «per ignoranza». La gente però resta con lui, anche perché la lettera dello scandalo conteneva la preghiera di non dimenticare la popolazione e in particolare i bambini di Fukushima, che dopo la crisi atomica innescata dallo tsunami del 2011 sono ancora esposti alle radiazioni.
Tema ad alta sensibilità politica, che spacca la nazione costretta a spegnere le sue 53 centrali nucleari e che divide il premier conservatore Shinzo Abe, deciso a far ripartire l’economia riaccendendo gli impianti, dall’opposizione dei democratici. I giapponesi si dicono dunque convinti che lo “scandalo della lettera” sia l’ennesima ipocrisia dettata dalla volontà dei parlamentari di archiviare Fukushima, cedendo ai grandi interessi privati che governano la terza economia del pianeta. Dopo oltre sessant’anni, grazie ad una scheggia di preistoria improvvisamente precipitata nella contemporaneità, riscoprono però l’origine divina delle dinastie imperiali del Sol Levante, cancellata dagli Usa nel 1946 dopo la tragedia di Hiroshima: e oltre che sul nucleare, la più ricca democrazia dell’Oriente prende atto di essere oggi divisa anche sulle prerogative della monarchia.
La gaffe una settimana fa alla tradizionale festa d’autunno, nel parco imperiale di Tokyo. Sotto gli occhi di dignitari e autorità, Taro Yamamoto, invece di limitarsi all’inchino di protocollo, ha deposto nelle mani di Akihito, 80 anni a dicembre, il manoscritto contestato. Le immagini, trasmesse centinaia di volte dalla tivù, mostrano il figlio di Hirohito sorpreso e divertito, mentre l’imperatrice Michiko sorride e trattiene discretamente il gomito del consorte per segnalargli l’inopportunità del gesto. Akhito ha subito passato la lettera nelle mani del maggiordomo, con esibita indifferenza, ma ormai l’affronto era subìto.
Solo alla fine della seconda guerra mondiale gli americani hanno imposto la “natura umana” della famiglia imperiale giapponese e Akihito, sul trono dal 1989, è il primo sovrano nipponico a non essere considerato un dio. Suo padre Hirohito non poteva nemmeno essere guardato in faccia e nonostante l’umanizzazione del figlio, consegnare oggetti e rivolgere la parola in pubblico all’imperatore rimane un gesto di scortesia. Tanto più se a compierlo è un senatore, che così facendo viola la Costituzione, riconoscendo al sovrano un ruolo politico, mentre la legge lo limita alla rappresentanza dello Stato.
Accuse e polemiche, prima della punizione di ieri, hanno trascinato il Paese sull’orlo di una crisi istituzionale. A uscire vincitore, solo Akihito, imperturbabile e silenzioso. Chi strillava per una lettera, taceva sui conti pubblici. Debito record: 10.300 miliardi di dollari. Non una parola al vecchio imperatore e non per educazione.