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 2013  novembre 09 Sabato calendario

ADRO, L’ULTIMO GIAPPONESE PADANO


Da ormai quasi tre anni i media nazionali non si occupavano più di lui. Tuttavia Oscar Lancini, 48 anni, sindaco di Adro in provincia di Brescia, continuava la sua battaglia da ultimo giapponese. Non c’è più Pontida, non c’è più il rito dell’ampolla a Venezia; non c’è più nemmeno, al comando, il venerato Senatur. Ma Lancini non si era arreso. Proseguiva la sua guerra a base di ricorsi, cause e contro-cause per riottenere quello che Roma ladrona gli aveva rubato. Come i settecento Soli delle Alpi con i quali aveva decorato la scuola pubblica del paese. Dopo una sentenza della magistratura, aveva dovuto farli rimuovere. Ma aveva seguitato a sperare in un giudice a Berlino, inondando cancellerie d’ogni tipo di carte bollate, e cercando di sostenere che quel Sole delle Alpi non è il simbolo di un partito ma dell’identità locale. Invano. Anzi alla fine tanta ostinazione gli era costata un’altra condanna, da parte della Corte dei Conti, per il denaro pubblico speso in tante inutili battaglie legali.
Ultrà in un partito di ultrà, Lancini aveva superato, per estremismo, anche il Salvini che invocava posti separati per gli stranieri sui bus, o il Bossi che suggeriva di usare il tricolore come carta igienica. Agli onori della cronaca nazionale era arrivato con l’istituzione di una taglia di 500 euro da assegnare ai vigili urbani che avessero scovato un clandestino. Poi c’era stata la faccenda della mensa della scuola. Una storia sulla quale s’era molto romanzato (Dario Fo e Franca Rame avevano scritto che il sindaco lasciava i figli degli immigrati a guardare i figli dei padani mentre mangiavano, e non era vero), ma sta di fatto che, per punire giustamente molti genitori morosi e più furbastri che poveri, aveva negato la mensa a venti bambini, di cui diciassette extracomunitari. Era andata a finire che un imprenditore suo omonimo, Silvano Lancini, aveva pagato il conto degli inadempienti. Un gesto di carità che aveva dato il la a un’altra battaglia del sindaco. Il presidente Napolitano, infatti, aveva premiato il Lancini-donatore con il cavalierato, e il Lancini-sindaco aveva mandato al Quirinale una lettera di questo tenore: «Presidente come si permette? Venga ad Adro a chiedere scusa alla mia gente». Una frase che gli era costata un’accusa per vilipendio del capo dello Stato, dalla quale però era stato prosciolto.
Comunque amato dai suoi cittadini, che l’hanno eletto sindaco nel 2004 e rieletto nel 2009 con il 62 per cento, Lancini ora è nei guai. Per bizzarro che sia, non è mai stato chiacchierato di ruberie e può darsi che ne esca pulito. Ma forse non è azzardato pensare che questa storia sia l’ultimo atto della sua battaglia da irriducibile, in una guerra di liberazione padana in cui ormai non credono più neanche i vecchi capi dei bei tempi.