Marco Neirotti, La Stampa 9/11/2013, 9 novembre 2013
“LO STATO DEVE TUTELARE L’INFANZIA LA VECCHIAIA NON È UN OSTACOLO SPESSO AFFIDIAMO I BIMBI AI NONNI”
«Voi siete l’arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti», scriveva il poeta Kahlil Gibran. Ma quando sono altri con sentenze, a lanciarli lontano, la ferita che si apre è devastante. E intorno ai provvedimenti si alzano in un tùrbine voci disperate e cori indignati. Ma il taglio netto è sofferenza anche per chi lo decide: «Nessuno, proprio perché al centro c’è il bene futuro di un bambino, pone a cuor leggero quella firma. Prima c’è un iter complesso, affollato di figure affettive e professionali», dice Giulia De Marco, per nove anni presidente del Tribunale per i Minorenni di Torino. Nessuna difesa d’ufficio della categoria, bensì un percorso tra le stazioni che possono condurre alla dichiarazione di adottabilità.
E’ diffusa la convinzione che i servizi sociali segnalino un disagio e sulla base di esso scatti un provvedimento. «Non è così, ci sono incontri, tentativi di soluzioni alternative. Non a caso i fascicoli sulle scrivanie sono migliaia in un anno e le sentenze in quella direzione pochissime. Però l’emotività fa imboccare strade in contraddizione: i giudici tengono i piccoli in istituto e non li dichiarano adottabili e, allo stesso tempo: i giudici non fanno altro che sottrarli (termine che si usa per il furto) alle famiglie. Delle due l’una».
Partiamo dall’inizio: la notizia che giunge da vicini, medici, insegnanti, forze dell’ordine. Giulia Di Marco: «Si rivolgono in genere ai servizi sociali e da questi la situazione - dopo la verifica di un episodio o un sospetto - può approdare all’ufficio del Pm». Una relazione dettagliata e convincente... «Non è così semplice», dice il magistrato: «Non c’è automatismo episodio-segnalazione. Dopo il lavoro sul territorio (che si spera resti in quei confini) i servizi espongono la situazione come la conoscono. Sono subito coinvolti (a parte dove c’è un’indagine per abusi sessuali o maltrattamenti gravi) i genitori, che possono illuminare parti sconosciute. Se lo si ritiene necessario, si prospetta un sostegno alla famiglia». Lo si può vivere come intrusione: non sono un delinquente, con che diritto venite a giudicare quel che faccio? «Nessuno è condannato, si rilevano condizioni che possono essere critiche. Il diritto di esaminarle è quello di uno Stato che deve, per il dettato della Costituzione, tutelare l’infanzia».
È difficile convincere che non si sta condannando a priori. «Ma non è quel che avviene. Nessuno vuole danneggiare la famiglia, alla quale anzi si ha il compito di offrire un aiuto che purtroppo a volte viene rifiutato ingiustamente. E i servizi, poi il Pm, prima di avviare la procedura, compie accertamenti, per esempio con la scuola, con altri familiari, con consulenti cui si aggiungeranno quelli di parte e i periti del Tribunale. Non c’è un’Istituzione contro degli adulti. Obiettivo è tutelare il bambino e si cerca di farlo in un contraddittorio dove i genitori sono presenti e assistiti dai loro legali». Si può comunque sbagliare, convincersi di certezze. «Questo in ogni tipo di giudizio. A tal scopo ci sono l’Appello, e la Cassazione, che è giudice di diritto, lontana da emotività».
Nel caso ultimo si parla di età troppo avanzata. «Non entro nel merito di un singolo procedimento, ma le chiedo: se l’età fosse da sola la ragione di una sentenza le pare che gli stessi giudici affiderebbero ai nonni i bambini che vengono allontanati da condizioni insostenibili? Si affidano ai nonni per non lacerare, per salvaguardare legami affettivi. Ma, prima d’arrivare lì, lo scopo di tutti è salvare la famiglia. La maggior soddisfazione è vedere una fase critica rientrare. L’allontanamento è l’ultima chance, significa essere con le spalle al muro, senza più altro da tentare».