varie, 11 novembre 2013
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI DI LUNEDI’ 11 NOVEMBRE 2013
Il prossimo 8 dicembre gli elettori del centrosinistra potranno votare per eleggere il nuovo segretario del Partito Democratico. I quattro candidati sono Matteo Renzi, Gianni Cuperlo, Pippo Civati e Gianni Pittella. Intanto l’organizzazione del partito è impegnata a livello locale, nei congressi di circolo e nelle assemblee provinciali. Da settimane si discute del problema del tesseramento a causa di un anomalo aumento delle iscrizioni (si partiva da 140 mila iscritti mentre oggi se ne contano oltre 600 mila), con segnalazioni di brogli, accuse nei congressi locali e denunce da parte di alcuni candidati. Venerdì la direzione del Pd ha stabilito lo stop al tesseramento, a partire da oggi e fino al giorno della Convenzione nazionale, il 24 novembre. Una decisione presa con due astenuti e 12 voti contrari, tra i quali quello di Civati [1]. I congressi che saranno annullati, ha fatto sapere il responsabile dell’organizzazione Davide Zoggia, non saranno più di tre o quattro. Ma alcuni casi sono di difficile soluzione. Ad Asti per esempio, c’è stato un tesseramento in massa di albanesi, circa 200. Sabato gli stessi albanesi sono scesi in piazza negando di avere inquinato il congresso: «Siamo ad Asti dal ’91, siamo 7.000 e abbiamo due candidati tra i dirigenti» [2]. A Borgomanero, in provincia di Novara, il 30% dei tesserati è straniero, soprattutto senegalesi. Alla fine sarebbero stati loro a far vincere il candidato di Cuperlo, Milione, 173 a 19 contro il renziano Marini [3]. C’è poi il caso del senatore torinese Stefano Esposito, cuperliano, vice presidente della commissione Trasporti, che si è autosospeso dal partito e dagli incarichi perché nel circolo Barriera di Milano è stato eletto un segretario con precedenti penali: «Ho visto con i miei occhi casi di tessere vendute. Quando hai gente che investe 20 mila euro per fare 1.500 tessere, che fai? L’ho detto un anno e mezzo fa e mi hanno sputato in faccia. È in atto una mutazione genetica» [4]. Per capire come si inserisce la sospensione del tesseramento nel percorso che porterà il Pd alle primarie dell’8 dicembre bisogna richiamare il regolamento delle primarie. Il congresso è diviso in due fasi: la prima prevede che si svolgano, entro il 20 novembre, le “Convenzioni provinciali” cioè le votazioni delle diverse mozioni congressuali nazionali a livello di circolo e provinciale, con l’elezione dei relativi delegati [5]. Questa prima fase è riservata ai soli iscritti e serve a selezionare i candidati che potranno accedere alla seconda fase. L’articolo 6 comma 9 dello statuto del Pd spiega infatti che solo «i tre candidati che abbiano ottenuto il consenso del maggior numero di iscritti purché abbiano ottenuto almeno il cinque per cento dei voti validamente espressi e, in ogni caso, quelli che abbiano ottenuto almeno il quindici per cento dei voti validamente espressi e la medesima percentuale in almeno cinque regioni o province autonome» potranno essere ammessi alla seconda fase. I risultati verranno comunicati ufficialmente durante la Convenzione Nazionale del 24 novembre [5]. «Si può dire che il meccanismo è un po’ arzigogolato? Da oggi fino al 20 novembre gli iscritti vengono chiamati a scegliere quale dei quattro candidati escludere. Uno deve uscire dalla casa. Ma così funziona il Grande fratello, mica una forza politica. Detto questo, continuo a pensare che la legittimazione di un segretario votato da milioni di persone sia superiore a quella di un leader votato da poca gente» (Matteo Renzi) [6]. Carlo Bertini: «Tutti sanno che eleggere i segretari provinciali senza collegarli ai candidati nazionali ha messo in moto “appetiti locali”, mobilitando un sottobosco di potere interessato a conquistare una maggioranza nelle assemblee provinciali, dove si decideranno le candidature per le centinaia di elezioni comunali in primavera. “Ma a voler esser maliziosi forse c’è chi fa l’equazione: più fango uguale meno partecipazione per Renzi”, sibila un sostenitore del sindaco» [7]. Certo è che il danno di immagine c’è stato ormai e i sondaggi lo dimostrano: «Non solo fotografando un calo di almeno un punto del Pd, ma prevedendo un’affluenza alle primarie non da record, anzi. Un’inchiesta di Demopolis mostra che solo il 16% degli elettori del Pd ha deciso di votare mentre il 73% non ci pensa proprio. E fatte le debite proporzioni, ciò si tradurrebbe nella metà circa dei tre milioni di elettori che affollarono le primarie di Veltroni e di Bersani» [6]. Una tessera del Pd costa 15-20 euro a seconda delle federazioni. Chi ne compra anche solo mille deve sborsare 15-20 mila euro. Travaglio: «O è un benefattore, e i soldi li mette di tasca sua; o è un ladro, e li prende da tangenti. Il primo movente di Tangentopoli, per i politici, era proprio incassare fondi neri per comprare tessere, scalare il partito e arraffare una poltrona pubblica per continuare a rubare e a salire sempre più su» [8]. Queste storie di tesseramenti gonfiati alla vigilia del congresso non li possiamo catalogare come roba da vecchia Dc? «No, però li potete catalogare come roba da nuovo Pd. La Dc era un partito serio, con regole serie. Al congresso del 1989, che segnò la fine della segreteria De Mita con l’elezione di Arnaldo Forlani, poté partecipare solo chi si era iscritto diversi mesi prima. Il Pd fa votare, a quanto leggo, gente che ha preso la tessera il giorno prima» (Paolo Cirino Pomicino a Giorgio Meletti) [9]. La tessera aveva qualcosa di solenne, nella storia dei partiti della Prima Repubblica. Pierluigi Battista: «Anche nella Dc, dove la tessera permetteva di entrare in uno dei partiti di cui si componeva il partito, detti anche “correnti”. La tessera era una, sempre con lo Scudo Crociato stilizzato. Ma le obbedienze erano diverse. Si era andreottiani più che democristiani, dorotei più che democristiani, morotei più che democristiani e così via. Con l’ossessione delle tessere, il grande corpaccione della Dc alla fine si dissolse. E prima che il partito tirasse le cuoia, ha ricordato Stefano Di Michele sul Foglio, il suo ultimo segretario, Mino Martinazzoli, si domandava che natura avesse una Democrazia cristiana «che passa le sue giornate a contare le tessere e le sue serate a commentare le encicliche» [10]. Paolo Franchi: «Per dire: il vecchio Pci iscriveva, nelle regioni rosse, intere famiglie, consegnando al babbo le tessere di nonni, mogli e figlioli. Per dire: nel Psi degli anni Ottanta, il cui segretario Bettino Craxi veniva eletto direttamente dal congresso (a Verona, nel 1984, addirittura per acclamazione), nessuno avrebbe potuto indicare a quanto davvero ammontasse la sinistra interna, che veleggiava quasi per convenzione tra il 25 e il 30 per cento. Ma c’è un ma. Nemmeno nelle loro stagioni più oscure a nessuno di questi partiti del passato sarebbe mai passato per l’anticamera del cervello di ridurre il congresso a una pura e semplice conta interna di voti, saltando a pie’ pari persino il simulacro di un confronto politico» [11]. «Torna alla memoria, con opportuno sgomento, che di moralizzazione e roghi purificatori di tessere si cominciò a parlare nella Dc al convegno di San Pellegrino, anno 1965. Già allora si tesseravano i doppioni e già si pescava negli elenchi telefonici. Poi fu la volta dei defunti, le “anime morte” di Gogol, e allora si deve alla severità di Scalfaro, oppure al cinismo di Andreotti, essendo la facezia destinata a restare senza un padre certo, la proposta di stabilire il 2 novembre come festa dell’iscritto dc» (Filippo Ceccarelli) [12]. Romano Prodi intanto ha deciso di non rinnovare l’iscrizione al Pd. Al suo circolo di via Orfeo, a Bologna, non lo vedono da mesi e la sua tessera resta chiusa in un cassetto [13]. Al di là dei brogli e dello sgomitare dei ras locali c’è un’altra battaglia che si combatte all’ombra di questo congresso Pd: «Lo scontro tra il partito-strutturato (il partito-ditta, avrebbe detto Bersani) e il partito-liquido (il partito-comunità, direbbe Renzi). Ed è uno scontro che potrebbe assumere i contorni del giudizio finale, se a vincere dovesse essere il sindaco di Firenze. Il bivio è chiaro: da una parte una forma partito così come oggi nota (il modello del secolo scorso, per capirsi), dall’altra una via del tutto nuova. Difficile dire quale può esser la strada migliore: facile affermare, invece, che i due modelli non possono coesistere. Come dimostrano i venefici intrecci di queste ore» (Federico Geremicca) [14]. Note: [1] tutti i giornali del 9/11; [2] Alessandro Trocino, Corriere della Sera 9/11; [3] Fabio Poletti, La Stampa 8/11; [4] Fabrizio d’Esposito, il Fatto Quotidiano 9/11; [5] Il Post 8/11; [6] Goffredo De Marchis, la Repubblica 7/11; [7] Carlo Bertini, La Stampa 6/11; [8] Marco Travaglio, l’Espresso 8/11; [9] Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 2/11; [10] Pierluigi Battista, Corriere della Sera 7/11; [11] Paolo Franchi, Corriere della Sera 8/11; [12] Filippo Ceccarelli, la Repubblica 7/11; [13] Silvia Bignami, la Repubblica 9/11; [14] Federico Geremicca, La Stampa 8/11.