Alberto Dentice, l’Espresso 8/11/2013, 8 novembre 2013
VEDI ALLA VOCE PEPPE
Peppe Servillo abita a Trastevere non lontano da Ponte Sisto, il luogo del nostro appuntamento. Eppure a osservarlo mentre aspetta sul ciglio della strada, non si capisce se è appena tornato o stia per partire. Tra i concerti, quasi un centinaio l’anno, e la tournée de "Le voci di dentro", lo spettacolo con cui sta girando l’Europa, i suoi soggiorni romani sono diventati più rari. E del resto non aveva neppure un anno quando nel 1960 da Arquata Scrivia (Alessandria) con i genitori affrontò il suo primo viaggio, fino a Caserta, dove è cresciuto. Può dunque affermare a buon diritto di esser nato con la valigia in mano. Circostanza questa che con il senno di poi andrebbe considerata un segno premonitore.
Magrissimo, con indosso una giacchetta di jeans, il viso ossuto, gli occhi infossati e mobilissimi che osservano con distacco la corrente del traffico. Viene da pensare a Charlot di "Tempi Moderni", alle facce scavate del Neorealismo di Rossellini e De Sica. Un viso espressivo e intenso almeno quanto la sua voce, anche questa in movimento senza sosta fra teatro e canzone. Non a caso, cantate da lui le canzoni diventano incisive come brevi, folgoranti sceneggiature. I versi scolpiti con gesti minimalisti da consumato artista del palcoscenico. «Arrivare a lavorare da attore è stata una conseguenza naturale del mio modo di essere interprete», spiega Servillo seduto in un caffè del centro, sotto un pergolato dai colori autunnali ormai quasi spoglio. «Non mi considero un cantante di voce, non lo sono, ho sempre pensato alla canzone come un fatto teatrale e quindi questo percorso è avvenuto molto naturalmente». Gli esordi nei primi anni Ottanta con gli Avion Travel, passando da una sperimentazione di successo all’altra fra musica, teatro e cinema. Poi, come sbucato dal nulla, eccolo accanto al fratello, Toni Servillo, l’attore italiano più apprezzato e famoso di questi anni, nella commedia "Le voci di dentro" di Eduardo De Filippo, il più grande successo della stagione teatrale. Dai tempi dei fratelli De Filippo non si vedeva una cosa del genere. Toni bravissimo, ma si sapeva. La rivelazione invece è Peppe con la sua maschera eduardiana, la sapiente economia dei gesti, i tempi comici perfetti. Qualche critico, addirittura è arrivato a chiedersi chi è il più bravo. «Sapevamo entrambi che ci sarebbe stata un’occasione per metterci al servizio di un testo importante e non un pretesto fine a se stesso. E finalmente l’occasione è arrivata. Una delle chiavi che rendono interessante lo spettacolo è proprio il circuito tra la comicità spontanea che c’è tra di noi, fratelli nella vita, e la comicità che si determina fra i due protagonisti della commedia». Il bello, prosegue Servillo, è scoprire che il pubblico apprezza la possibilità d’inventare a ogni rappresentazione il senso di quello che sta accadendo: «Altrimenti per quale ragione in ogni piazza si ride diversamente? Certe battute delle "Voci" fanno ridere a Milano, altre a Roma e altre ancora a Marsiglia».
In famiglia, racconta Peppe, la musica e il teatro sono sempre stati di casa. Il padre grande appassionato di lirica. E un fratello più grande, Nando, con il quale fin da ragazzi hanno coltivato l’interesse per la musica. «Siamo cresciuti in una città di provincia, Caserta, in anni in cui la politica era un grande valore. Quello che ha caratterizzato il nostro rapporto sia in ambito famigliare sia con i compagni di allora, molti dei quali oggi lavorano nell’ambito dello spettacolo, è stato sempre un grande desiderio di condivisione. Un lavoro di squadra che è rimasto un tratto distintivo anche del lavoro di Toni con la compagnia». Dal racconto emerge il ritratto di due fratelli diversi nel carattere e nell’atteggiamento verso la vita ma accomunati dal medesimo rigore, da un profondo senso della disciplina, da un’etica del lavoro quasi protestante. Il che fa pensare più alla Germania di Lutero che non alla provincia di Caserta, «terra ’e fatica e prucessione», ma anche «di sirene e furfanti» come recitava una vecchia poesia. «I nostri genitori non hanno mai preteso che le nostre scelte dovessero essere immediatamente produttive. Ci hanno dato fiducia e lasciato fare, ritenendo che i nostri percorsi, con tutti i rischi e le incognite del caso, avrebbero contribuito a fare di noi delle persone». Un valore che oggi purtroppo sembra passato di moda: «Molti pensano, sbagliando, che fin dalla scuola si dovrebbe essere funzionali a un progetto imposto dall’esterno», osserva, «ma così si impedisce alla creatività di trovare la propria strada». Autodidatta per scelta e per necessità, Peppe confessa che nella sua crescita come artista e come persona hanno contato soprattutto il confronto con gli altri e alcuni incontri fondamentali: «Quello con Lilli Greco, produttore e discografico di squisita sensibilità artistica che mi ha insegnato moltissimo. E Giuseppe Bartolucci, teorico del teatro immagine e della nuova spettacolarità anni Ottanta che ha saputo orientare i primi passi del mio percorso di ricerca con i suoi consigli preziosi».
Tappa emblematica di quella investigazione sul teatro-canzone che ha contrassegnato il viaggio di Peppe Servillo è "Futbòl", dai racconti di Osvaldo Soriano, realizzato con il trio italo-argentino di Javier Girotto e Natalio Mangalavite. «Ci divertiva l’idea di narrare il calcio latino anni Cinquanta con la vena ironica, da leggenda colorita di aneddoti meravigliosi qual è quella di Soriano. Ma anche testimoniare di un modo di vivere la passione per questo sport diverso da quello che si fa oggi. Tifoso? No. Trovo sia un termine abusato, finito a sproposito anche nel gergo politichese. La mia squadra è il Napoli e la seguo con una certa passione, ma da tempo non vado più allo stadio».
Con la commedia di De Filippo Servillo sarà in tour fino a maggio. Prossime tappe in Spagna, in Francia e al Barbican Theatre di Londra, proprio dove Ralph Richardson recitò "Le voci di dentro" nella sua ultima apparizione in palcoscenico. E a gennaio 2014 finalmente lo spettacolo arriva a Napoli al San Ferdinando. La buona notizia è che mentre, tra una pausa e l’altra del tour, continuerà a girare con il trio italo-argentino e con i Solis String Quartet, il quartetto con cui rivisita i classici del repertorio napoletano, il Nostro sta pensando di ricostituire gli Avion Travel. Circa dieci anni fa, con la diaspora, da una parte nasceva l’esperienza dell’Orchestra di Piazza Vittorio con Mario Tronco e Peppe D’Argenzio e dall’altra quella di Musica Nuda con Ferruccio Spinetti e Petra Magoni. «Per il prossimo anno stiamo pensando a una reunion del sestetto originale, per il gusto di risuonare il repertorio degli Avion Travel a cui noi e il nostro pubblico siamo profondamente legati».