Daniela Minerva, l’Espresso 8/11/2013, 8 novembre 2013
UNA MARZIANA A ROMA
[Elena Cattaneo]
L’incontro con Napolitano e l’offerta di un cordiale. La telefonata del ministro Lorenzin. Gli impegni tra laboratorio e Palazzo Madama. La neo senatrice a vita si racconta. E lancia un appello per la ricerca
Elena Cattaneo non si è ancora ripresa. Da quello stupore di mezz’estate quando alle sette di sera è squillato il telefono ed era il Quirinale. È ancora tramortita. Lo sguardo limpido di una scienziata pura che, all’improvviso e senza capire perché, incrocia i palazzi del potere. Perché "la Elena" con quelle stanze non ci ha mai avuto niente a che fare. Lei è una scienziata, veste da scienziata, vive tra microscopi e pipette con quel rigore semplice che è la cifra della scienza. Guadagna, o meglio guadagnava 3.300 euro al mese, a cui ha rinunciato il giorno stesso che ha accettato la nomina a senatore a vita. Ogni mattina prende il treno a Brugherio, attraversa l’hinterland milanese e arriva nella foschia della stazione di Lambrate. Duecento metri e si apre il suo mondo. Quel laboratorio nuovo di zecca che le fa brillare gli occhi e ti mostra come fosse Versailles. Non le importa che sia in un angolo grigio di Milano che più tetro non si può, che per prendere l’ascensore serva la chiave a dimostrare il mood sparagnino. Per lei contiene tutte le meraviglie del Trianon.
Pare di vederla, col suo abitino da congresso arrivare sola sola al Quirinale, attraversare cortili e saloni col pensiero in testa: «Che ci faccio qui? Perché il presidente vuole vedermi? Ma cos’avrò combinato? La storia di Stamina, forse. Mi vorrà dire di starne alla larga», racconta oggi. La Elena sente ancora il brivido dietro la schiena, le viene da ridere mentre racconta di quando è arrivata davanti allo studio di Napolitano, di tutti quegli «officer. Sa, quelli tutti vestiti con le giacche con le code». Di quando, infine è entrata e c’erano il presidente e due suoi consiglieri. «L’ho capito dopo che erano i consiglieri di Stato: Madonna, ma cosa succede?».
È troppo per lei. Seduta sul ciglio della seggiolona quirinalizia con gli occhi sbarrati. E Napolitano che comincia a parlare della Costituzione: «Io ero in apnea. Ma come faccio a parlare di padri costituenti. Io sono una che lavora con cellule, Dna. E all’improvviso mi trovo davanti a quel gigante di Napolitano che arriva a parlarmi dei senatori a vita. Mi dice che ritiene che la ricerca sia troppo sottovalutata in Italia e che per questo vuole nominare una scienziata; e poi: "Ho pensato al suo nome. Cosa ne dice?" ».
È svenuta?
«Penso veramente di aver perso conoscenza. Non riuscivo a parlare. E lui mi ha detto: "Professoressa, le faccio portare un cordiale?"».
Elena Cattaneo, senatrice a vita a 51 anni. È vero che lei è molto famosa come scienziata, ma perché Napolitano ha voluto lei?
«Voleva una donna che fosse attiva dentro e fuori la scienza. E io gli ho detto subito che non potevo lasciare il laboratorio: che il mio abito è questo e non posso vivere la vita di un altro. Mi ha risposto che non vuole certo togliere una risorsa alla ricerca. Che vuole che io continui a fare quello che faccio».
Insomma va a Roma a dimostrare quanto è bella e alta la scienza. Una testimonial.
«Ma no. Il presidente mi ha detto di volermi dare l’opportunità di continuare le mie battaglie da dentro il Senato. Perché la scienza entra in tantissime questioni politiche e sociali. È nostro dovere intervenire. Io l’ho considerato parte del mio lavoro di laboratorio. Prenda Stamina: facendo come s’è fatto, il Paese ha rinnegato il valore della scienza, della medicina, dello studio, dei giovani che si stanno impegnando a cercare risultati concreti per i malati basandoli sull’evidenza dei fatti. La politica ne ha fatte più di Bertoldo: penso anche alla legge 40, ai finanziamenti sulle cellule staminali che ci sono stati negati perché lavoriamo su cellule embrionali. È brutto quando il tuo Paese ti discrimina. Come fai ad andare in stanza cellule, a mettere le mani sulle staminali embrionali sapendo che il tuo governo ti ha escluso? Per me è intollerabile. Non puoi chiudere gli occhi, voltare la testa dall’altra parte pensando che tanto sei brava e i finanziamenti te li vai a cercare altrove. Devi batterti per avere giustizia. E farlo, per me, è fare scienza. Perché mi batto contro il pregiudizio».
Testé nominata Stem Cells Person of the Year, una montagna di pubblicazioni su riviste scientifiche di primissimo piano: eppure il centrodestra l’ha molto attaccata proprio sul piano scientifico. Turbata?
«L’onorevole Maurizio Gasparri ha detto che sarebbe stato meglio che Napolitano nominasse Totti. Spero almeno di far meglio di Totti».
Cosa farà? Ci va in Senato?
«Tutte le settimane. E ho un ufficio bellissimo: a Palazzo Giustiniani! Ci pensa? Poi ho delle risorse con le quali voglio formare una piccola task force che metta insieme informazioni su argomenti scientifici: dalla sperimentazione animale alle cellule staminali agli ogm e non solo. Per creare una cinghia di trasmissione tra noi e la politica. Se ci fosse stato qualcuno a rappresentare la scienza in Senato, forse non avremmo subito l’obbrobrio Stamina. E questa sarà la prima cosa: voglio un’indagine conoscitiva per capire come è stato possibile».
Ancora Stamina. Non sarà l’unico problema della scienza italiana?
«Guardi che è una faccenda agghiacciante con un valore politico e simbolico altissimo. Ed è piena di punti oscuri. Come ha fatto nel 2011 Stamina a entrare in un ospedale pubblico, a Brescia? Voglio saperlo. E voglio anche sapere perché da maggio 2012 a oggi tutta è potuto andare avanti. Voglio sapere perché l’allora ministro Renato Balduzzi ha fatto quel decreto. Voglio sapere come ha fatto il Senato a votare un emendamento peggiorativo, del già orribile decreto Balduzzi. Il Senato ha ordinato ai medici di somministrare gli intrugli di Stamina per 18 mesi. Senza nessun motivo scientifico e medico, "cose" costose da preparare. E si devono dare per forza senza neanche sapere cosa sono, a spese del Servizio sanitario nazionale. E poi? Dopo 18 mesi cosa avrebbero dovuto fare i medici? Smettere? Ovviamente non avrebbero potuto rimandare a casa i malati e avrebbero dovuto continuare le somministrazioni. Con costi altissimi. Io penso che chi sta dalla parte di Stamina ha in mente una svalutazione del Servizio sanitario nazionale, lo vuole impoverire e vuole aprire delle brecce dalle quali poi possono passare terapie senza dimostrazione scientifica. Per fortuna il ministro Beatrice Lorenzin ha fermato tutto. È stata molto brava».
L’ha mai incontrata?
«No. Mi ha telefonato. Già, adesso arrivano queste telefonate. Il ministro. È strano, mi creda. Comunque: mi ha detto che vuole promuovere una nuova cultura scientifica. In ogni caso, con Stamina ha agito per il verso giusto».
Siete stati molto duri con Stamina. Ad alcuni è sembrato un po’ disumani.
«Io non posso mentire. E questa sofferenza me la sento addosso. Ma credo che somministrare un inganno non è compassione. Mi sento male a dire la verità a queste persone. Ma mi sentirei peggio a mentirgli. Tutta questa faccenda è falsa: non solo la scienza. È falso questo trasporto emotivo, è tutta una montatura. Noi, come scienziati, non abbiamo perso il contatto con la sofferenza dei malati, dei genitori, dei bambini. Ma le speranze devono essere dimostrate coi fatti. E noi viviamo questa tensione etica continuamente».
Ma il Paese fatica a stare dalla vostra parte.
«Perché non ci conosce. E questa cappa mi ferisce. Questa immagine della scienza e dello scienziato come freddi e disumani. Che stride con la tensione etica costante. Che ti strangola quando devi dire a queste povere persone "sorry era un’illusione". Noi rifiutiamo le terapie che non hanno una dimostrazione scientifica non perché siamo freddi ma perché crediamo che farlo significhi ingannare i malati. E non ci piace lavorare con gli animali da laboratorio, ma è inevitabile. Non è vero che non abbiamo sentimenti e emozioni. Che lavorare con le staminali embrionali ci lasci indifferenti. Noi entriamo tutte le mattine in laboratorio senza sapere se ne usciremo con un fallimento o no. È ciò che dà a questo lavoro un valore che va ben oltre i risultati che produce: ti obbliga a innamorarti delle tue idee e poi ti obbliga a esserne il feroce dissettore quando vai al bancone del laboratorio. Perché è al bancone che saprai se le tue idee sono reali rappresentazioni, o no. Non sono io che dico se la mie cellule staminali curano. No. Io le mando al bancone, e lì il risultato sarà verde o rosso. Se è rosso, c’è il cestino pronto. Un cestino della spazzatura dove finiscono le mie idee».
L’opinione pubblica è distante. Pensa che il Paese vi maltratti?
«In un certo senso sì. Non ci considera. Ma a fronte di questo, in Italia tutti i giorni succede il miracolo: quella porta, come quella di tanti altri laboratori, si apre. Entrano persone che vengono trattate come Frankenstein, come creature senza cuore. Ma che, per fortuna, hanno il fuoco dentro. Hanno un obiettivo più grande: dare speranza e dimostrare questa speranza con dei fatti».
Di certo siete sottofinanziati: pensa che per far ripartire la scienza italiana servano più soldi?
«Certo. Ma parallelamente serve un’opera di responsabilizzazione degli scienziati a cui vengono dati soldi pubblici. E per questo sacri. È ovvio che gli investimenti nella ricerca creano valore per il Paese, anche e soprattutto in tempi di crisi. Ma è pure evidente che in Italia c’è malcostume. Anche nella gestione della scienza».
Malcostume?
«È nostra responsabilità operare al meglio. E alla fine siamo soli con la nostra coscienza. Se uno ti offre caviale e champagne tutte le sere, devi chiederti chi paga. Giusto? E se la risposta non ti convince puoi allontanarti. Rispondi sempre alla tua coscienza».
A cosa si riferisce?
«Ci sono cose che non mi sono piaciute nella gestione dei finanziamenti alla ricerca. Ma soprattutto penso che debbano essere rivisti alcuni criteri, come quello dei finanziamenti a pioggia. L’idea che ha dominato fino a oggi è quella che "siamo tutti ugali" e quindi tutti dobbiamo andare avanti. No, non siamo tutti uguali. È necessario che chi decide abbia il coraggio di comportarsi di conseguenza. E scelga di allocare le risorse sulla base del merito e di obiettivi strategici. Così noi abbiamo avuto questo laboratorio. Perché il rettore a Milano ha deciso che non eravamo tutti uguali».
Adesso, però, come senatore può intervenire. Cosa pensa si debba fare?
«Vorrei che ci fosse un unico ente che gestisce i finanziamenti. Tante volte mi sono accorta che ci sono programmi nei diversi ministeri che si sovrappongono, o che non sinergizzano. Serve di mettere insieme i fondi: la politica deve decidere qual è il budget e quali sono i temi strategici per il Paese. Ma poi deve essere un’agenzia tecnica che decide a chi dare i soldi e fa controlli e valutazioni. Altrimenti il rischio è di sprecare parcellizzando e non scegliendo i progetti migliori».
L’Italia è piena di commissioni e sottocommissioni. Non bastano i ministeri?
«No. Per quanto animati da buone intenzioni, i revisori non riescono a fare un lavoro approfondito e così ricevi commenti generici. E tu puoi solo dire: "È un terno al lotto; mi è andata, non mi è andata". Io ho davanti a me l’esempio di Telethon. Ogni proposta viene valutata da molti esperti del settore, viene discussa e accettata o scartata sulla base di una disamina che ti ritrovi quando ricevi la risposta. Non è che gli esperti dei ministeri non siano competenti, è che per vagliare davvero i progetti di una scienza sempre più specializzata e complessa servirebbero centinaia di persone. Telethon lo fa. E lo fa da agenzia indipendente»
Perché? I tecnici del ministero non sono indipendenti?
«Non ho detto questo. Ma ribadisco che è necessario separare la politica dalla gestione dei finanziamenti. Un organo tecnico avrebbe l’autonomia e la competenza necessaria. E potrebbe finanziare linee di ricerca sulla base di progetti strategici per il Paese. Ma, mi lasci dire, anche ai mei colleghi: viviamo in un Paese che ci ha dato opportunità di studio e conoscenza. Fra trent’anni al massimo lasceremo il testimone. Perché non operare al meglio, nell’interesse della scienza? Che è un modo per essere utile agli altri».
ha collaborato Simone Valesini