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 2013  novembre 08 Venerdì calendario

PD A UN PASSO DAL CAOS TOTALE IN GIOCO L’ESSENZA DEL PARTITO


Come tutte le brutte faccende, anche il triste romanzo a puntate dei brogli nel tesseramento Pd può esser affrontato da diversi punti di vista.

C’è quello di Epifani, segretario-traghettatore, che ieri - in un colloquio col candidato Civati - ha confessato la sua grande amarezza.
«Dopo tanti mesi di lavoro - ha lamentato l’ex leader della Cgil - non voglio chiudere il mio mandato così...». E c’è quello di chi osserva da tempo la faticosa evoluzione dei democratici: e non può far a meno di ricordare che, giusto un anno fa, di questi tempi, la faccenda era più o meno la stessa.
Nel novembre scorso l’incendio divampò intorno alle primarie per la scelta del candidato premier: Renzi in campo contro Bersani, e polemiche su chi poteva votare e chi invece no, veleni intorno all’apertura o meno del ballottaggio a chi non avesse partecipato al primo turno, insinuazioni sulla possibilità che elettori di centrodestra avrebbero potuto condizionare o addirittura determinare il risultato finale... È passato un anno, e quel che si può dire oggi è che la lezione non è servita: oppure, più semplicemente, che qualcuno l’ha dimenticata.
Sia come sia, oggi la situazione è questa: a un mese esatto dalle primarie per la scelta del nuovo segretario del Pd, il partito sembra viaggiare a fari spenti nella nebbia; non si sa ancora se e quali congressi (di circolo o provinciali) verranno annullati, non si sa ancora se i voti espressi in quelle sedi saranno cancellati - diciamo così - o se verranno comunque computati; non si sa quali e quanti dei candidati (quattro) accetteranno la proposta di chiusura del tesseramento entro domenica; e non si sa neppure cosa chiederanno in cambio per non ricorrere alle carte bollate, mandando in malora quello che viene orgogliosamente definito (e che ancora può confermarsi tale) «un grande esercizio di democrazia».
«Se continua così, se non fermiamo questo andazzo - lamentava ieri Guglielmo Epifani - rischiamo che alle primarie non venga a votare nessuno...». È certamente un problema: ma lo è, allo stesso modo, interrogarsi sul perché delle dilaganti degenerazioni: e darsi una risposta. Una delle chiavi di lettura possibili è il «doppio binario» che caratterizza i congressi da quando sono state introdotte le primarie. Un doppio binario ed un doppio livello, ad esser precisi: quello alto - diciamo così - dell’elezione del segretario da parte di milioni di cittadini; e quello basso dell’elezione dei gruppi dirigenti locali.
Immaginare che l’impegno e l’interesse dei militanti, degli iscritti e dei dirigenti periferici sia catalizzato esclusivamente o soprattutto dall’elezione del leader, significa non conoscere i meccanismi di funzionamento di un partito ancora ben strutturato sul territorio. Infatti, sono i livelli di direzione locale - cioè i segretari di circolo, e quelli provinciali e regionali - a gestire importanti «posizioni di potere» in assoluta autonomia da Roma: dai candidati alle cariche elettive locali e perfino alle elezioni nazionali, passando per la quantità di «poltrone» da assegnare tra consigli di amministrazione ed enti vari, è sul territorio che vengono effettuate una gran quantità di scelte importanti. Ed è sul territorio, dunque, che infuria la battaglia in occasione dei Congressi.
È anche per questo che da qualche giorno in casa pd si attribuiscono a «ras locali» - e non ai candidati alla segreteria nazionale - le responsabilità di quel che va scandalosamente accadendo: non è un alibi, un tentare di scaricare altrove le colpe del Grande Pasticcio quanto - piuttosto - l’accendere i riflettori su un problema che andrebbe però affrontato con ben altro polso. Per quieto vivere o per incapacità (e talvolta perfino per corresponsabilità) si è finora preferito lasciar correre, stendere un velo: non è affatto una buona scelta, a giudicare dai risultati.
Ma all’ombra dei brogli e dello sgomitare dei «ras locali» c’è un’altra battaglia che si combatte all’ombra di questo travagliatissimo congresso Pd: e cioè lo scontro tra il partito-strutturato (il partito-ditta, avrebbe detto Bersani) e il partito-liquido (il partito-comunità, direbbe Renzi). Ed è uno scontro che potrebbe assumere i contorni del «giudizio finale», se a vincere - alla fine - dovesse essere il sindaco di Firenze. Il bivio è chiaro: da una parte una forma partito così come oggi nota (il modello del secolo scorso, per capirsi), dall’altra una via del tutto nuova. Difficile dire quale può esser la strada migliore: facile affermare, invece, che i due modelli non possono coesistere. Come dimostrano i venefici intrecci di queste ore...