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 2013  novembre 08 Venerdì calendario

L’OLIVETTI SAPEVA DELLA POLVERE KILLER


Gli operai lo chiamavano «talco», perché era una polvere bianca, finissima, leggera, quasi piacevole da toccare. Come il «borotalco» appunto. E poi nessuno glielo aveva mai detto che il «talco» in realtà era «tremolite d’amianto». Ovvero roccia macinata, finissima, piacevole. Ma pericolosissima se respirata. Letale, se una microfibra si attaccava ai polmoni. Alla Olivetti, l’hanno usata - sostengono gli ex impiegati - per tutte le lavorazioni con la gomma. Per fabbricare i cavi. Per infilare i «piedini» sotto le macchine da scrivere. Per proteggere i rulli attorno ai quali si avvolgevano i fogli di carta nelle macchine meccaniche ed elettroniche. La usavano perché rende la gomma meno collosa, meno appiccicosa quando fa caldo. Perché, almeno nei cavi, faceva scorrere meglio i fili dentro le guaine.
Ecco, la procura della Repubblica lavora su questo: quanto sapevano gli operai della pericolosità di quel materiale. Nella mani dei magistrati di Ivrea ci sono le perizie di un processo per la morte di una ex dipendente di Olivetti stroncata da un mesotelioma pleurico nel 2007, e finito da poco con l’archiviazione. Sul banco degli imputati c’era l’ex amministratore delegato della Olivetti di trentacinque anni fa, Ottorino Beltrami. È finito in nulla perché lui è mancato qualche mese fa. Ma gli atti e le perizie richieste per quella vicenda sono tutt’ora validi. E fanno da base sulla quale poggia la nuova inchiesta di Ivrea. Quella con undici indagati - da Carlo a Franco De Benedetti, a Corrado Passera - per arrivare ad una sfilza di alti ex dirigenti dell’azienda di Ivrea. E poi ci sono le vittime. Venti almeno, tra ex operai e funzionari della fabbrica dove si costruivano i computer. E il numero crescerà ancora.
Rita Castelnuovo, segretario della Cgil del Canavese racconta di contatti continui con le ex tute blu, almeno quelli più sindacalizzati. «Abbiamo creato dei gruppi di ascolto con quelle persone. Ci troviamo una o due volte al mese. Cerchiamo di capire le dimensioni del fenomeno». Ma non è facile distinguere tra chi si è ammalato in azienda e chi no, chi vanta dei diritti e chi invece si fa solo suggestionare. Che poi è lo stesso problema che hanno anche in Procura. Quanti sono i malati ancora in vita? E le vittime? L’inchiesta va avanti da quasi un anno: da venti indagati si è scesi ad undici: alcuni sono stati esclusi subito dopo la richiesta di proroga dell’inchiesta. Per altri si è capito che non avevano nulla a che vedere con la sicurezza sul lavoro. E c’è altro ancora da chiarire, da accertare. Tipo: i vertici aziendali, all’epoca, sapevano del pericolo a cui erano esposti gli uomini e le donne che lavoravano in posti come gli stabilimenti di San Bernardo di Ivrea, Scarmagno, alla Ico? Qualche dubbio, c’è. E poggia sul fatto che chi timbrava il cartellino nei reparti in cui c’era asbesto veniva spedito una volta l’anno a fare un controllo medico: radiografie ai polmoni, analisi del sangue e via discorrendo. Ma - sostengono i famigliari dei morti e dei malati - sotto certi capannoni, nei reparti dove la tremolite si adoperava tutti i giorni, e in grandi quantità, mancavano i sistemi di protezione. E se c’erano non erano così efficaci. Ovvero: i respiratori di polvere erano piazzati in alto, non sulle scrivanie, sui tavoli da lavoro, sulle parti oggetto di intervento manuale. E le mascherine di protezione le indossavano in pochi.
Intanto un portavoce dell’ex presidente della Olivetti puntualizza: «L’ingegner Carlo De Benedetti, nel rispetto degli operai e delle loro famiglie, attende fiducioso l’esito delle indagini nella certezza della sua totale estraneità ai fatti contestati. La realizzazione delle strutture oggetto di indagine precede infatti di diversi anni l’inizio della sua gestione all’Olivetti. Nel periodo della sua permanenza in azienda, inoltre, l’Olivetti ha sempre prestato attenzione alla salute e alla sicurezza dei lavoratori, con misure adeguate alle normative e alle conoscenze scientifiche dell’epoca».

[L. POL.]