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 2013  novembre 08 Venerdì calendario

ALLE GENERALI HO AGITO BENE TANTI UTILI DALLE MIE OPERAZIONI


[Giovanni Perissinotto]

«Non voglio fare polemiche ma ho il dovere, specie per la squadra con cui ho lavorato alle Generali e alla quale sarò sempre grato, di ristabilire la verità». E’ la verità di Giovanni Perissinotto, l’ex amministratore delegato del Leone che parla per la prima volta da quando nel giugno dello scorso anno fu «dimissionato» con un blitz dei soci, è «che il saldo della mia gestione è positivo. Non a caso le cessioni che le Generali stanno effettuando, con ottime plusvalenze, riguardano proprio operazioni fatte negli undici anni in cui ho guidato il gruppo. E le Generali, che nel 2000 avevano un giro d’affari di 40 miliardi, a fine 2011 superavano i 70 miliardi, con un’importante espansione internazionale e senza mai ricorrere a un aumento di capitale».
Eppure l’Ivass - l’autorità che vigila sulle assicurazioni - ha chiesto alle Generali di esaminare ancora la sua posizione e quella di Raffaele Agrusti per valutare un’azione di responsabilità nei vostri confronti...
«Le autorità fanno il loro mestiere, ma penso che abbiano visto altri casi assai più preoccupanti e più meritori delle loro attenzioni. Generali ha già fatto approfondimenti, durati oltre un anno e a mia memoria mai avvenuti prima, con organi interni ed esterni alla compagnia. Dai risultati non mi pare proprio che si possa far passare la mia gestione come quella di un incapace, o addirittura peggio. Lo dimostra il fatto che le vendite decise sotto il nuovo amministratore delegato Mario Greco hanno solo liberato utili».
Ci spieghi come.
«Qualche esempio? Banca Generali, creata con un nostro investimento di 20 milioni, oggi capitalizza oltre 2,2 miliardi in Borsa; la joint venture Generali-Ppf ha visto quintuplicare la cifra d’affari del gruppo in Est Europa e addirittura decuplicare gli utili; prova ne sia che la nuova gestione ha deciso di anticipare l’esercizio dell’opzione per prenderla tutta; le attività in Messico sono state appena vendute a 950 milioni di dollari, con una plusvalenza di ben 900 milioni; perfino partecipazioni non quotate come quella in Save hanno dato una plusvalenza».
Greco, però, ha chiuso il 2012 con svalutazioni per 1,7 miliardi e solo nel quarto trimestre ha fatto rettifiche di valore per 1,27 miliardi. Un segnale che qualcosa non funzionava, no?
«La gran parte delle rettifiche del quarto trimestre riguardava i titoli Intesa-Sanpaolo e quelli Telco, cambiando in modo restrittivo i criteri per rivederne il valore. Per il resto, tra attività immobiliari, prestiti e crediti e altri investimenti, sono state fatte rettifiche di meno di 300 milioni. Una percentuale minima su 330 miliardi di asset».
Ma quando lei è andato via il titolo Generali era a 8 euro, ora viaggia a quota 17. Come se lo spiega?
«Premesso che auguro a Greco ogni successo - sia perché resto un uomo delle Generali che ha a cuore la sorte del gruppo, sia perché rimango azionista - ritengo che il recupero del titolo sia anche dovuto a fattori esterni. Due in particolare: la riduzione dello spread, che quando ho lasciato era sopra i 400 punti e oggi è circa la metà, e una mutata percezione degli investitori su banche e assicurazioni italiane».
Altro punto dolente, le cosiddette operazioni con parti correlate. Sotto la sua gestione Generali ha finanziato società come Ferak ed Effeti che in cambio hanno investito a Trieste...
«Non è assolutamente vero. Abbiamo fatto investimenti in quelle società quando credevamo che avessero potenziale. E il loro ingresso nell’azionariato è completamente separato. Io e i miei manager abbiamo sempre e solo cercato di portare avanti il gruppo nella tempesta dei mercati finanziari. E non era poco, mi creda».
Altro caso. De Agostini vi vende la Toro, poi diventa socio del Leone.
«Nel 2006 prendemmo la Toro perché ritenemmo che avesse un valore e ci offrisse sinergie con le attività esistenti. La pagammo 2,8 miliardi e recuperammo subito quasi la metà di quella cifra vendendo la Nuova Tirrena. Per noi fu un’operazione molto positiva. Se poi De Agostini ha ritenuto che Generali fosse un titolo da comprare, ha potuto farlo. Ma non ci sono legami tra le due cose».
Secondo alcune ricostruzioni la sua uscita dipende all’opposizione alla fusione Fonsai-Unipol, sotto la regia di Mediobanca. È così?
«All’epoca credo di aver avuto il coraggio di dire che mi sembrava anormale che il nostro principale azionista lavorasse per creare il nostro maggior concorrente. Ma penso che il motivo della mia uscita sia da ricercare nell’andamento del titolo. Considero legittima la decisione che dovessi lasciare. Ma non ho compreso né approvato il modo in cui è stata gestita la mia uscita».
Uscendo lei ha ricevuto più di 10 milioni. Adesso l’Ivass ipotizza che la compagnia possa esercitare la clausola di «clawback» nei suoi confronti, ossia che le chieda soldi indietro...
«Ho raggiunto un accordo con la società che ha tenuto conto dei 32 anni da me trascorsi alle Generali. Se poi penso che c’è chi ha avuto una liquidazione ben superiore alla mia stando là un anno senza cariche esecutive...».
I sedici milioni a Cesare Geronzi?
«Sì».
In questi anni alle Generali ha avuto molte pressioni dai suoi soci?
«Credo che quando si guida una grossa società certe pressioni ci possano essere. Io ho sempre cercato di tenere dritta la barra. Negli ultimi anni sono arrivate nuove e benvenute regole di governance che disciplinano queste operazioni. Le regole aiutano, ma le Generali si sono sempre aiutate da sole con i loro valori di etica».