Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  novembre 08 Venerdì calendario

PERCHÉ LA RICCA GERMANIA CHIEDE INTERESSI PIÙ ALTI


L’economia tedesca non aveva bisogno della riduzione del tasso d’interesse deciso ieri dalla Banca centrale europea (Bce). I grandi investitori internazionali ne sono convinti e prevedono che le tensioni non possano che crescere attorno a Mario Draghi e agli uomini che devono fissare una politica monetaria unica valida per tutti i 17 Paesi dell’eurozona. È «troppo espansiva per la Germania», ha scritto in un’analisi dei giorni scorsi Bridgewater, il maggiore hedge fund del mondo: ora che il tasso d’interesse è stato tagliato al minimo storico dello 0,25%, l’affermazione è tanto più sostenibile. «Nonostante per ora ci siano solo segni limitati di surriscaldamento nell’economia tedesca — è scritto nel report — è probabile che le pressioni aumentino nel tempo via via che la Bce continua a condurre una politica monetaria accomodante. Mentre queste pressioni aumentano, una divergenza d’opinioni può crescere tra i responsabili politici tedeschi e la Bce».
La questione è abbastanza semplice e conferma timori che esistono da tempo sulla difficoltà di avere un tasso d’interesse centrale unico per economie che vanno in direzioni diverse. La Germania ha completamente recuperato i livelli precedenti la crisi del 2008: «i prezzi degli asset sono alti, il tasso di disoccupazione è ai minimi di 30 anni, l’economia opera al di sopra del proprio potenziale e le pressioni a ridurre l’indebitamento sono minime», nota Bridgewater. In queste condizioni, Berlino avrebbe bisogno di tassi d’interesse un po’ più alti: ma, viste le condizioni ben diverse del resto dell’eurozona, Draghi ha dovuto dare anche ai tedeschi tassi più bassi.
La divergenza di attività economica tra la Germania e il resto dell’eurozona è ai massimi da quando l’euro è nato, nota l’hedge fund. Il Prodotto interno lordo reale tedesco è del 2,5% sopra ai massimi raggiunti prima della crisi, mentre nel resto dell’eurozona è sotto del 5%. Inoltre, la produzione industriale della Germania è vicina ai massimi precrisi, quella degli altri è ai livelli di metà anni Novanta. Il tasso di disoccupazione tedesco è vicino al 5%, quello del resto dell’area euro va verso il 15%. Per la prima volta in vent’anni, in Germania crescono i prezzi delle case, mentre nella maggior parte degli altri Paesi gli immobili hanno perso il 15% rispetto ai massimi e diminuiscono ancora. La Borsa di Francoforte è circa il 20% più alta del picco precrisi, l’aggregato dei listini degli altri Paesi dell’euro è quasi il 40% sotto. E, come si sa, le bolle — immobiliari o di Borsa — ai tedeschi non piacciono e funzionari della Bundesbank, la banca centrale tedesca, hanno già messo in molta evidenza questi rischi nei giorni scorsi.
La questione dell’abbondanza di denaro che gonfia le bolle speculative è complicata da affrontare. Dal momento che la politica monetaria non si trasmette allo stesso modo in tutti i 17 Paesi — come ha notato di nuovo ieri Draghi, che ha sottolineato come la frammentazione dei mercati finanziari continentali abbia smesso di ricomporsi da tre-quattro mesi — in Germania abbiamo tassi d’interesse più bassi che negli altri Paesi perché i mercati continuano a mantenere masse di denaro in titoli tedeschi. Ciò significa che per un privato, un’impresa o uno speculatore della Germania è più facile e meno costoso accedere a prestiti bancari che non per chi opera altrove.
Inoltre, il bilancio pubblico di Berlino è pressoché in pareggio, quindi la Germania non dovrebbe soffrire nei prossimi anni, a differenza di molti partner, a causa di politiche di austerità. La sola cosa che accomuna Germania e resto dell’eurozona è il tasso d’inflazione che non sale: se così non fosse, Draghi sarebbe sotto pressione in misura molto più seria.
La questione interessante, a parte le reazioni politiche alla divergenza di bisogni che certamente arriveranno, è capire come si muoverà Berlino. Secondo Bridgewater, per controbilanciare il calo dei tassi e raffreddare l’attività economica, «la Germania potrebbe stringere la politica di bilancio, nonostante abbia pareggiato i conti l’anno scorso, ma questo ridurrebbe la domanda aggregata nell’eurozona e troverebbe l’opposizione ostinata della periferia depressa», cioè dei Paesi in maggiori difficoltà che al contrario vorrebbero che il mercato tedesco comprasse di più.
Di fronte ai rischi di deflazione, ieri Draghi ha ritenuto di non potere fare altro che abbassare i tassi d’interesse. Senza opposizioni nella Bce se non sui tempi, a quanto pare. Ma ora il problema è a Berlino. Nell’euro, vivere senza la forte Germania è impossibile. Ma è maledettamente difficile.
Danilo Taino