Massimo Vincenzi, la Repubblica 8/11/2013, 8 novembre 2013
IL CINGUETTIO DI TWITTER FA IMPAZZIRE WALL STREET
QUELLA mattina del 2006 fa freddo a South Park, ad un passo dal quartiere degli affari di San Francisco, e dal mare sale un vento impastato di pioggia sottile.
PROPRIO come ieri a New York, con l’aria resa gelida dalla corrente dell’Hudson che corre lungo il canalone di Wall Street. Sono passati sette anni e l’analogia non deve essere sfuggita ad un maniaco del dettaglio come Jack Dorsey, il capo carismatico di Twitter che è qui per prendersi gli applausi e i soldi della Borsa americana.
Trentasette anni il 19 novembre è l’esteta della Silicon Valley, più vicino a Steve Jobs che a Bill Gates, scandisce il suo motto: «Cerco in ogni momento la creatività, l’ispirazione: queste sono le cose che contano». Indossa solo abiti firmati Dior, all’appuntamento più importante arriva con una giacca nera, pantaloni attillati dello stesso colore e una camicia bianca: senza cravatta. Sorride, gli occhi chiari brillano e i capelli sono corti corti: è l’altra faccia della web generation, l’opposto dello stereotipo “nerd”.
Non indossa una delle felpe nere del rivale Mark Zuckerberg da quando era studente alla New York University, quando gira per Washington Square vestito dimesso, con t-shirt sdrucite dove scrive con il pennarello il suo numero di telefono: «Così le ragazze non devono perdere tempo a chiedermelo». Le donne sono una delle sue passioni. Gli piacciono da matti, ricambiato. Anche se, per la legge del contrappasso, si è appena dovuto difendere dall’accusa di discriminazione per non aver nemmeno una quota rosa nel suo consiglio di amministrazione: «Sciocchezze che non mi interessano», la replica.
La nuova conquista è la modella e attrice Lily Cole con cui trascorre le ultime vacanze saltando da uno yacht all’altro: le foto ritraggono lei, devota, che gli spalma la crema sulla schiena. Lui ha l’aria beata. Come ieri, quando le quotazioni da record di Twitter portano il suo patrimonio a superare il miliardo di dollari. Come quella mattina del 2006 quando a due amici e colleghi dice ispirato dopo aver ordinato un burritos: «Ho avuto un’idea ». Ovvero i 140 caratteri che cambieranno la sua vita e degli oltre 200milioni di utenti sparsi per il mondo.
In realtà la trama sarebbe un po’ diversa o almeno così la pensa il giornalista del New York Times Nick Bilton autore di una biografia velenosa che gli riconosce una sola dote: il mito della creazione. Secondo il libro la creazione del social network sarebbe di Noah Glass, suo socio a Odeo, la società da cui tutto ha inizio. Come già per Facebook le origini nel mondo hi-tech sono shakespeariane: le amicizie si rompono, l’amore diventa odio feroce. «Una notte, eravamo nella sua auto ubriachi di vodka e Red Bull e molto tristi: io deluso dagli affari, lui dalla sua vita sentimentale: gli dissi quello che avevo immaginato. Poi il giorno dopo ci siamo messi a lavorarci sopra: è vero il nome l’ha trovato lui ma il resto è merito mio»: è la tesi difensiva di Dorsey.
Di sicuro Glass adesso non è qui a godersi il successo, cacciato prima ancora che la società decollasse. Il dandy 2.0, come lo chiamano i molti nemici (che lo accusano pure di non sapere twittare) festeggerà ascoltando a tutto volume musica punk e bevendo uno dei rari vini francesi che alterna con l’acqua e limone, la sua dieta diurna.
Il ragazzo va di fretta, non ha tempo per i rimpianti: «Ho dovuto lottare e le chiacchiere inutili non mi piacciono», ripete. Nato a Saint Louis in una famiglia della working class: la mamma, Marcia, è una casalinga dallo spiccato senso dell’umorismo: «Sono la nonna di Twitter», il papà, Tim, fa l’operaio e ieri quando vede le fortune del figlio salire ancora più in alto non si trattiene e sul suo profilo digita: “FUN”, tutto maiuscolo.
Dalla provincia Dorsey se ne va con le doti che tutti gli riconoscono: l’intelligenza, la fantasia, una grande energia e un metodo ai confini dell’autismo. Alla mattina si alza sempre alle 7 e 6 minuti, fa colazione nello stesso bar, poi prende l’autobus, si siede in fondo e mentalmente fa l’inventario di quel che vede: «Controllo quanti guardano Facebook e quanti noi, osservo quello che fanno con i loro computer: tutto serve per migliorare ». Va ogni sera della settimana nello stesso ristorante: “Aziza” al lunedì, “Zuni” al martedì, “Mint” al mercoledì e via così. Le riunioni di lavoro seguono un copione identico, immodificabile.
Ed è su questa strada a metà tra il talento e la ripetizione meccanica del lavoro che incontra l’altro protagonista della giornata: Richard Costolo, detto Dick. Lui è il vecchio del gruppo con i suoi 50 anni, è quello con la cravatta, gli occhiali neri e l’aria da studente in gita: con lo smartphone scatta una foto dopo l’altra. È l’amministratore delegato, quello che più ha creduto nel salto in Borsa e adesso si gode il successo: «È fantastico vedere così tanto entusiasmo. Sono felice di come hanno risposto gli investitori, ora dobbiamo lavorare duro per consolidare il risultato, ma sono ottimista: Twitter ha possibilità di sviluppo illimitate». Ex attore all’Annoyance Theatre di Chicago ama le battute e le frasi ad effetto. Durante una lezione all’università davanti ai giovani che lo tempestano di domande dice sornione: «Non preoccupatevi di niente, non pensate a quale strada prendere, quali materie studiare: vivete la vita. Il resto viene da se, ve ne accorgerete subito che quella è la cosa giusta da fare». E magari, come per loro questa volta, ha il battito metallico di una campanella che suona.