Luigi Mascheroni, il Giornale 8/11/2013, 8 novembre 2013
ANGOSCIOSI O ANGELICI IN QUESTI AUTORITRATTI C’È TUTTO IL NOVECENTO
L’accademismo classico è nella posa maestosa e ieratica di Arnold Böcklin, del 1899. I postumi del realismo alla Velázquez riaffiorano nel 1905 nella figura energica di Léon Joseph Florentin Bonnat. L’avanguardia la vedi nella faccia cubo- futurista di Vinicio Berti, del 1929. Gli echi rinascimentali li cogli nella postura di Antonio Bueno da Berlino, che nel 1946 fa il verso ad Antonello da Messina. La semplificazione infantile la insegna nel 1960, con la sua essenzialità primordiale, Massimo Campigli. L’iper-realismo passa per le rughe profonde e dolenti del viso di Ivan Le Lorraine Albright, che si mette spietatamente in mostra nel 1981, due anni prima di morire. E il concettuale rifiorisce nel «fuoriquadro»di Giulio Paolini, Out of Shot , collage e inchiostro, 2013.
1899-2013.Qui dentro c’è l’intero Novecento, con tutte le sue tecniche, tutti suoi pensieri artistici, tutte le sue correnti, i suoi manifesti, le sue espressioni, le sue scuole, le sue lezioni e le sue provocazioni, cento anni negli ultimi cento metri del Corridoio Vasariano, la galleriadiautoritratti più lunga del mondo che da oggi, nell’ultimo tratto che sbuca nel Giardino di Boboli, inaugura la nuova sezione permanente, dedicata al XX secolo, che dalla A di Carla Accardi (un vinilico su tela grezza del 2009) alla Z dello svedese Carl Emil Zoir (un olio su tela del 1904) mette in fila 137 capolavori, in parte provenienti dalle riserve della Galleria degli Uffizi e in parte dalle acquisizioni degli ultimi anni ( in particolare la ricchissima collezione di Raimondo Rezzonico, arrivata nel 2005) che portano a quota 527 gli autoritratti esposti nel «Corridore», dal ’500 a oggi (e altri milleduecento sono nei depositi).
Benvenuti nel corridoio dei quadri perduti e delle facce ritrovate. Voluto dal direttore degli Uffizi, Antonio Natali, e curato dalla responsabile del Dipartimento dell’Otto- Novecento della Galleria, Giovanna Giusti, il nuovo allestimento del Corridoio Vasariano è il volto presentabile dei Beni culturali italiani. Tradizione, orgoglio, eleganza. Il profilo artistico del made in Italy.
Eccole le facce più belle, angosciose, sognanti, scandalose, fosche, fosforescenti, geniali del Novecento. Nel tratto del Corridoio che attraversa il retro dei palazzi nobiliari di via Guicciardini, entra nel Giardino di Boboli, costeggia a sinistra la Grotta del Buontalenti e esce a Palazzo Pitti, sfilano gli autoritratti-capolavoro della pittura, della scultura, della fotografia e della grafica del secolo da poco finito e di quello appena iniziato. Per portare il pubblico del museo-simbolo dell’arte «antica» a guardare in faccia la contemporaneità. Perché tutta l’arte è arte contemporanea.
Si parte con la grande, luminosa, placida tela di Baccio Maria Bacci, il celebre Pomeriggio a Fiesole che ( auto)ritrae il pittore con l’amico Peyron e le loro mogli, opera spartiacque, del 1926-29, tra il«figurativo»e qualcosa d’«altro », e poi si sfila via, decennio per decennio, metro dopo metro, gli italiani a destra, gli stranieri a sinistra, fino all’autoritratto specchiato di Michelangelo Pistoletto, che nella grande serigrafia su acciaio inox lucidato compare accanto al mecenate Giuliano Gori, che donò l’opera al museo nel 1995. In mezzo, tutte le facce possibili della commedia dell’arte. La faccia neofigurativa di Remo Brindisi (1956), la faccia parigina di Umberto Brunelleschi (1936), la faccia naturalistica di Felice Carena ( 1932), la faccia «filiforme» di Luigi Chessa (1929), la silhouette in legno grezzo di Mario Ceroli (1965), la faccia impressionista di William Merritt Chase (1908), il naso surrealista di Marie-Louise de Geer Fuchs Ekman (1981), la faccia «monumentale» di Maurice Denis, la faccia zoomorfa di Jan Fabre ( 2010), la faccia prismatica di Ferruccio Ferrazzi (1934), la faccia d’acciaio di Arnold Haukeland ( 1973), la faccia da manga di Yayoi Kusama (2010), la faccia ondosa di Carlo Levi (1937), la faccia folle e selvaggia di Antonio Ligabue (1955), la faccia eccentrica di Robert Mapplethrpe, la faccia primitiva e arcana di Mimmo Paladino (2003), la Cranologia di Ketty La Rocca (1973), la faccia occhialuta e onirica di Hiroshi Sugimoto (2010), la faccia «opart »con l’aureoladi Victor Vasarely ( 1945), la non-faccia geometrica di Emilio Vedova (1950), la faccia col cappelo di Joseph Beuys (1970), il corpo nudo di Francesca Woodman (1979-80), la faccia, e il corpo, minimal di Vanessa Beecroft (2006)...
Nelle facce degli artisti ci sono le emozioni luminose della vita, e i lati più oscuri dell’animo. Un volto, uno sguardo, una luce. L’essenzialità dell’esistenza. «Il Corridoio Vasariano dedicato all’autoritratto spiega la curatrice della sezione, Giovanna Giusti, che ci accompagna nella visita indaga il segreto dell’immortalità e rivela il processo evolutivo di stili attraverso scelte pittoriche, con punti di osservazione che mutano, rappresentando ognuno il proprio tempo ». Tempi, stili, materiali.
Fisiognomica su tela, su arazzo, in bronzo, in terracotta. Come si (auto)ritrae l’artista?
Robert Rauschenberg, nel 1967, di-mostrò il suo dissenso nei riguardi della guerra in Vietnam ritraendosi nella sua nuda struttura scheletrica, mediante l’assemblaggio di cinque lastre radiografiche. Donò l’opera agli Uffizi nel 1981. Giacomo Balla, nel 1928, scelse di dipingersi un Autocaffé , sorriso e tazzina in mano, donato dalle figlie Elica e Luce nel 1992. Marc Chagall invece ci venne di persona agli Uffizi, nel 1976, per consegnare se stesso su tela, autoritratto nella sua Parigi blu. Marino Marini si modellò nel gesso il viso scabro ed essenziale, nel ’42,quarantenne, e l’anno della morte, nel 1981, fu fuso in bronzo e donato dalla moglie Mercedes Marini, ad eterna memoria. Renato Guttuso, per eternare la propria giovinezza e il proprio narcisismo, si autoritrasse ventenne. Raphael Soyer si dipinse pensoso, David Alfaro Siqueiros violento, Antoni Tápies simbolico (solo le lettere iniziali del suo nome), Ottone Rosai con tutta la sua supposta inadeguatezza, Luigi Russolo geometrico, William Orpen (auto) ironico, i pittori del nord sempre con severità, i fiamminghi con stupore, Adriana Pincherle, la sorella di Moravia, ancheggiando memorie modiglianesche, Gregorio Sciltian come al solito impeccabile e Olga Carol Rama decostruendo tutto.
Mentre il metafisico Ferruccio Gentilini si stava ancora dipingendo, quando morì, improvvisamente, nel 1981. La sua opera è l’ultima in fondo al Corridoio,un quadretto a tecnica mista, 48x38 centimetri: è un autoritratto incompiuto. Ma a guardarlo in faccia, non manca di niente.