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 2013  novembre 08 Venerdì calendario

UN SECOLO FA AVEVAMO IL PRIMATO NELL’ENERGIA

Gli Anni 90 dell’Ottocento furono caratterizzati da scandali bancari, crisi politiche, contrasti sociali, ma anche da una netta ripresa dell’economia. A partire dal 1896 l’industria mostrò una decisa accelerazione distaccandosi dai blandi ritmi del recente passato. Nel primo decennio del Novecento il tasso di sviluppo oscillò intorno al 6% all’anno, un ritmo del tutto inedito. Si trattava di una crescita a due facce, una rivolta al passato e l’altra rivolta all’avvenire.
La faccia rivolta al passato era concentrata sul settore tessile, che costituiva ancora la principale fonte di occupazione e che copriva il 40% delle esportazioni. Nella seta dominava la produzione di filo, ma tra gli ultimi anni dell’Ottocento e la prima guerra mondiale si assisté anche a un’ondata di investimenti nei telai meccanici che rilanciarono la produzione di tessuti. Fra il 1876 e il 1898 i telai a mano erano di gran lunga prevalenti; nei successivi dieci anni le proporzioni si rovesciarono: nel 1912 si contavano ancora 5mila telai a mano ma quelli meccanici erano ormai 15mila. Dopo più di due secoli si manifestava una promettente inversione di tendenza.
Il ramo più dinamico era però quello cotoniero, che portò a termine la meccanizzazione della filatura chiudendo il capitolo del lavoro a domicilio ed espandendo il numero dei fusi, che passarono da meno di due milioni nel 1898 a oltre quattro milioni e mezzo nel 1914 (si trattò del tasso di incremento più elevato del mondo). Anche nella tessitura il rinnovamento tecnologico procedette speditamente. Nel 1896 sul territorio nazionale si contavano 65mila telai; sedici anni dopo erano diventati 115mila, di cui solo 30mila a mano. La stessa lana non fece mancare il suo contributo allo sviluppo. Fra il 1890 e il 1913 la produzione di tessuti raddoppiò parallelamente al numero dei telai meccanici che passarono da 6.500 a 12.000. Alla vigilia della guerra aveva conquistato l’intero mercato nazionale a eccezione dei tessuti più fini che venivano ancora importati dall’Inghilterra, dove la produzione di qualità dominava incontrastata.
La faccia dell’industrializzazione rivolta al futuro riguardava in primo luogo la produzione di energia idroelettrica. Il nostro Paese era stato fra i primi a studiare i principi dell’elettricità e a introdurre l’illuminazione elettrica in una grande città (nel 1883 la centrale milanese di Santa Radegonda aveva acceso le luci di piazza del Duomo e della Galleria Vittorio Emanuele II). Ma la vera fortuna dell’Italia fu la grande disponibilità di acqua negli ambienti adatti che in poco più di dieci anni le consentì di passare dalla modesta produzione di 160 milioni di kwh a oltre 2.200 milioni, più di quanti ne produceva la Francia, più o meno come l’Inghilterra, anche se ancora ben lontana dagli 8.000 milioni della Germania.

Le fine del carbone. Il ricorso all’energia elettrica aveva anche un significato più sottile. Liberava il mondo imprenditoriale dal senso di inferiorità derivante dall’assenza di carbone in un’epoca nella quale si ripeteva che senza il carbone non si poteva far nulla. Per una sorta di rivalsa, all’energia elettrica venne attribuito, non senza ragione, l’appellativo di carbone bianco. Nel 1913 il volto energetico del Paese era completamente cambiato. Il legno, che all’indomani dell’Unità forniva oltre l’80% dell’energia, aveva visto diminuire il suo apporto al 29%, mentre l’energia idroelettrica era ormai in grado di sostituire due milioni di tonnellate di carbon fossile riducendo di un quarto le sue importazioni.
Anche la siderurgia cercò di mettersi al passo con la seconda rivoluzione industriale. Verso il 1870, in Europa, il ferro aveva ceduto il primato all’acciaio. Non a caso l’industria più strettamente legata all’acciaio, quella meccanica, si mosse con passo molto lento. Alcuni studiosi hanno attribuito la colpa della sua lentezza a un regime doganale sfavorevole che non la proteggeva adeguatamente. La verità è che l’industria meccanica è un settore molto complesso e articolato il quale, per crescere, ha bisogno di una domanda variegata e di un mercato ampio e sicuro. Caratteristiche che erano presenti, per esempio, in Germania e in Inghilterra, ma non nel nostro Paese. Non sembra invece del tutto pertinente l’obiezione di chi ritiene che l’industria italiana non disponesse di un adeguato livello tecnologico per tenere testa alla concorrenza estera. Negli Anni Novanta, l’Italia era in grado di esportare navi da guerra e non erano quindi del tutto assenti le conoscenze tecnologiche necessarie per creare un’industria competitiva. Erano meno diffuse che in altri Paesi a causa, fra l’altro, di un sistema scolastico poco attento alla formazione tecnica. Nonostante questi ostacoli non mancarono iniziative coraggiose che avevano dinanzi a sé un grande avvenire. Nel 1899 venne fondata la Fiat, destinata a spazzar via nel giro di pochi anni il pulviscolo di officine che assemblavano le prime automobili. Nel 1911 nacque la Olivetti, che per più di mezzo secolo ha rifornito di macchine da scrivere tutti gli uffici italiani.
Fra il 1861 e il 1913 la produzione agricola aumentò del 91%, quella industriale del 234% e il valore dei servizi del 48%. Il reddito pro capite era cresciuto del 68% (alcuni studiosi, come Paolo Malanima, ritengono che sia cresciuto dell’87%). Un bilancio positivo ma, tutto sommato, modesto se lo si confronta con i Paesi più avanzati, senza però dimenticare che si tratta di un tasso di sviluppo mai sperimentato nella nostra penisola.
Un Paese che per la carenza di materie prime, di fonti energetiche e di capitali sembrava destinato a non risalire più la china, aveva invece invertito la rotta. Lo confermano anche alcuni indici sulla qualità della vita: la mortalità infantile scesa del 36%; l’aspettativa di vita alla nascita salita da 35 a 47 anni; l’analfabetismo era crollato dal 75 al 38%; la percentuale delle famiglie sottonutrite scesa dal 30% del 1870 al 17% del 1911, e l’indice di sviluppo umano era aumentato, negli stessi anni, da 0,268 a 0,485.


13 - continua