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 2013  novembre 08 Venerdì calendario

«RIMPIANGO L’ITALIA EDUCATA IN CUI SONO CRESCIUTO. E IL CATTOLICESIMO SOCIALE»

«RIMPIANGO L’ITALIA EDUCATA IN CUI SONO CRESCIUTO. E IL CATTOLICESIMO SOCIALE» –

Bruno Vespa ha appena dettato a Nicoletta Lazzari della Mondadori l’ultimo aggiornamento del suo nuovo libro: una battuta di Berlusconi che di fatto preannuncia la crisi di governo. Ora Sale, zucchero e caffè può andare in stampa.
Vespa, perché questo titolo?
«Nonna Aida diceva che sale, zucchero e caffè non dovevano mancare mai. Erano spariti durante la guerra, e non doveva mai più succedere. Infatti ne ammassava grandi quantità e le nascondeva in casa. Un altro titolo avrebbe potuto essere “Il lettone di nonna Aida”, il luogo mitico della mia infanzia. Ancora da adulto l’abbraccio di mia nonna era un momento di abbandono».
L’Abruzzo in cui lei nasce nel maggio 1944 era una terra poverissima.
«I contadini si spostavano con il somaro. All’Aquila, fuori da Porta Napoli, c’era una pietra miliare: “Foggia km 300”. I pastori se li facevano a piedi».
Sua mamma maestra invece andava a scuola in bicicletta.
«La sua prima supplenza fu a Collamare di Sassa. Tra i colleghi c’era un maestro fiorentino convinto di trasferirsi al mare: si era ritrovato tra i Sassi più impervi. Una volta un cane la fece cadere dalla bicicletta, si ruppe la testa, andò in coma. Si riprese e comprò il motorino, un Cucciolo. La nuova sede era Lucoli. Lei arrivava fin dove finiva la strada, guadava un fiume su un tronco d’albero e si arrampicava in cima alla collina dove c’era la scuola. Papà rimase a lungo disoccupato, senza lo stipendio di mamma non avremmo campato».
Il libro non torna sulla diceria che la voleva figlio del Duce, prima che lei smentisse con una dura lettera a Libero.
«Mio fratello era arrabbiatissimo per quella storia. Io no, anche perché era tecnicamente impossibile: mia madre insegnava ad Assergi nel ’49, cinque anni dopo il passaggio del Duce. Nel libro descrivo la sua stanza di Campo Imperatore, dove visse qualche giorno prima di essere liberato dai tedeschi».
Lei rievoca le stragi naziste in Abruzzo, oggi dimenticate.
«Non naziste; tedesche. Non furono le Ss, ma la Wermacht, l’esercito regolare. A Pietransieri furono uccise 128 persone. Onna venne rasa al suolo, 66 anni prima del terremoto. A Filetto il “capitano nero”, Matthias Defregger, fece fucilare trenta ragazzi, tra cui i due figli adolescenti di una povera donna che gridava: “Lasciatemene almeno uno…”. Defregger dopo la guerra diventò vescovo ausiliare di Monaco, e non pagò mai per quel crimine».
Il dolore delle madri segna i suoi primi anni di vita. Come quello della contadina che si congeda dai figli che emigrano in Australia: «L’Australia è come morire».
«La messa dell’emigrante era uno strazio. Ricordo un cielo sempre cupo, o forse ricordo solo il racconto che me ne faceva mia madre: il Gran Sasso incombente, il corteo che usciva dalla chiesa, il congedo da figli e mariti che non si sarebbero più rivisti. Le donne vestivano di nero, portavano il lutto per uomini ancora vivi, dall’altra parte del mondo. Io ho una profonda ammirazione per i ragazzi italiani che trovo nei bar di Londra, dove lavorano per 5 sterline all’ora, imparano l’inglese, si mettono in gioco. Ma a quelli che si fanno ancora accudire dalla mamma bisognerebbe spiegare quali enormi sacrifici abbiano fatto le generazioni precedenti».
Lei racconta un’Italia educata, ancora capace di rispetto.
«È così. Ai concerti c’era un silenzio assoluto: chi aveva la tosse non le dava sfogo come ora, si copriva la bocca con il fazzoletto. Si giocava a tennis senza i rantoli da film porno di oggi: ed eravamo all’Aquila, non alla corte d’Inghilterra. A Roma sugli autobus i giovani si alzavano per cedere il posto alle signore, e se non lo facevano le signore si facevano rispettare: “Aò, a regazzì…”. Soprattutto, l’emulazione era verso l’alto. Io non sono mai stato il primo della classe, ma non ho mai pensato di invidiare i più meritevoli. Mia nonna mi diceva: “Vai con persone migliori di te”. Oggi si dice: “Siccome non riesco a raggiungerti, scendi tu al mio livello”».
L’esordio nel giornalismo avviene al Tempo, un giornale che appoggiava la destra democristiana. Lei racconta però di essere stato un giovane fanfaniano.
«Sì. Mi è sempre piaciuto, e ancora mi piace, il cattolicesimo sociale; che è cosa diversa dalla sinistra Dc, a volte più settaria dei comunisti. Una volta D’Alema mi disse: “Non capisco perché uno come lei non possa votare per noi”. Subito aggiunse: “Ho capito, la sinistra Dc. Ma io la distruggerò!”».
Non è andata proprio così… Cosa intende per settarismo della sinistra?
«Le faccio un esempio. Ero direttore del Tg1. Mi dimisi, senza trattare nulla: un vero cretino. Non mi fecero più lavorare. Chiedevo: direttore, posso girare un servizio? Risposta: “Sì, ma se non si vede la tua faccia”. Ricominciai solo dopo la vittoria di Berlusconi, che praticamente non conoscevo In un pomeriggio intervistai Occhetto, Martinazzoli che annunciò le dimissioni, e la sera il Cavaliere in tuta che preparava il programma di governo».
Lei e Gianni Letta sognate da sempre un Berlusconi “democristianizzato”. Ma la sua natura è un’altra, non crede?
«Berlusconi ha grandi difetti; ma ha dato voce a un’Italia, tutt’altro che minoritaria, che non l’aveva mai avuta. Alla fine anche lui ha ceduto al delirio di onnipotenza che prima o poi colpisce tutti i politici, compreso Mario Monti: il Cavaliere è caduto sulle donne, il Professore sulla “salita in politica”; se fosse rimasto fermo, oggi sarebbe al Quirinale».
Berlusconi e Alfano si separeranno?
«Se Alfano lascerà la casa del padre, sarà per trasferirsi sullo stesso pianerottolo. Mi ha detto che non crede all’ipotesi centrista: se anche decidesse di non seguire Berlusconi in Forza Italia, rimarrà comunque nel centrodestra. Che alle prossime elezioni sarà ancora guidato dal Cavaliere».
E Letta riuscirà a coabitare nello stesso partito con Renzi?
«Casini vorrebbe Letta con sé in una nuova forza di centro. Vedremo. Di sicuro Renzi è l’unico politico di sinistra paragonabile a Berlusconi; è anche l’unico che quando viene a Porta a Porta, dove esordì nel 2009 prima ancora di diventare sindaco di Firenze, non esce senza aver salutato tutti, dal pubblico alle truccatrici».