Cristiana Mangani, Il Messaggero 8/11/2013, 8 novembre 2013
FACCENDIERI SOLDI E ROLEX NELLO SCANDALO DEI CAMILLIANI
ROMA «Mi dichiaro nullatentente», comincia così l’interrogatorio di padre Renato Salvatore, Superiore generale dell’Ordine dei ministri degli infermi-religiosi camilliani. Con un tentativo di prendere le distanze da denaro, appalti, ville, e da tutte quelle accuse che il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza e la procura di Roma gli stanno contestando. Non soltanto, quindi, una corsa al potere per mantenere il ruolo di “primario” dell’ente religioso, «costi quel che costi», ma anche intrecci di interesse sui quali le Fiamme gialle stanno ponendo particolare attenzione. Nell’inchiesta, coordinata dal pm Giuseppe Cascini, che ha portato all’arresto di sette persone, tra le quali il commercialista-faccendiere Paolo Oliverio, il superiore dei camilliani, e i due finanzieri Mario Norgini e Alessandro Di Marco, si punta ora alla contabilità dell’Ordine religioso. Ai ricavi, alle rendite, ma soprattutto agli ammanchi di quelle duecento strutture ospedaliere e cliniche che appartengono all’ente.
IL DENARO
Si comincia dai dieci milioni di euro dei quali gli investigatori hanno trovato tracce nello studio di Oliverio. Denaro che sarebbe stato trasferito all’estero e depositato probabilmente in una banca svizzera, per continuare con i 120 mila euro in contanti e i 5 Rolex dei militari incriminati. E ancora, per finire, a un milione di euro che avrebbe intascato padre Rosario Messina, lo stesso che i due finanzieri hanno interrogato e trattenuto nella sede della Guardia di finanza di Roma, pur di non farlo votare contro padre Salvatore. Una somma della quale dovrà spiegare la provenienza. E così intorno alla guerra di potere per la supremazia dell’Ordine religioso emergono lati oscuri, complotti e inimicizie di anni. Non soltanto, l’operazione messa in piedi da Oliverio per favorire il Superiore generale in carica, ma anche qualcosa di più delicato che parte da un’altra inchiesta in corso, il cui reato contestato è il riciclaggio. Sembra di rivedere l’indagine sullo Ior e sull’attività illecita della maggiore banca vaticana.
I SOSPETTI
Infatti, quando padre Messina viene convocato con padre Antonio Puca alla Finanza di Roma, per un interrogatorio fasullo, non regge lo stress e ammette irregolarità nella gestione dell’Ente. Non sa che non ci sono inchieste su di lui da parte della procura di Napoli, e vuota il sacco. Tanto che le Fiamme gialle, nell’informativa consegnata alla procura, scrivono: «Lo scopo del complotto, peraltro riuscito, era quello di evitare che Puca e Messina partecipassero alle votazioni per la nomina del Superiore generale dei camilliani, atteso che, durante le consultazioni, i due canonici si erano apertamente schierati contro la rielezione del loro avversario padre Renato Salvatore...Giova altresì precisare che le informazioni “riservate”, concernenti proprio l’opaca, se non palesemente illecita, gestione amministrativa della Provincia Sicula dell’Ente, pervenute all’Oliverio, parrebbero essere assolutamente fondate, atteso che i due canonici raggirati non sono apparsi affatto sorpresi davanti alle contestazioni asseritamente mosse dalla procura partenopea e, per tale motivo, sono risultati pronti a tutto per sistemare le cose».
GLI INTERROGATORI
Ieri mattina si sono svolti i primi interrogatori di garanzia. I due finanzieri, Di Marco e Norgini, sono stati ascoltati dal gip, alla presenza dei loro avvocati Mario e Davide De Caprio. Norgini ha scelto di rispondere, spiegando che loro credevano che Oliverio fosse qualcuno legato ai servizi segreti e che avrebbe potuto aiutarli nella carriera. E che comunque aveva saputo del raggiro in atto da Di Marco. Quest’ultimo, invece, si è avvalso della facoltà di non rispondere.