Marco Belpoliti, La Stampa 8/11/2013, 8 novembre 2013
SORGENTE INESAURIBILE DI IDEE E DI SOGNI
L’isola è, prima ancora che uno spazio geografico – una terra emersa circondata dal mare –, un luogo mentale, sorgente inesauribile d’idee, immaginazioni e sogni. Indica l’isolamento, la differenza, la lontananza. È L’isola del tesoro di Stevenson, con grotte, foreste, pirati, trabocchetti e un’immensa ricchezza sepolta da scoprire e di cui impadronirsi. La letteratura trabocca di isole, dall’Odissea al Robinson Crusoe, dall’avventura tra dèi e mostri sino alla fondazione della nuova morale mercantile. Si va d’isola in isola, capitando in quella di Peter Pan, l’Isola-che-non-c’è, che fa il verso all’Utopia di Moore, paradiso che si può trasformare subito dopo in inferno dei viventi, sino ad arrivare all’isola di Montecristo, topos del riscatto e della vendetta.
Nello spazio chiuso, circondato da mari infidi, si celano i mostri del dottor Moreau di Wells o i bambini terribili del Signore delle mosche, utopia realizzata del sogno di un mondo di soli ragazzi. L’isola consente l’esperimento sociale, oltre che quello scientifico, proprio perché luogo altro, e in un qual senso circoscritto: prima che il contagio dilaghi c’è sempre un mare di mezzo, spazio aperto dove ogni malattia si stempera. Il mare oceano, che la circonda, è anche il luogo della possibilità ulteriore, labirinto marino in cui sperdersi, o invece rifugiarsi davanti al peggio, in attesa del meglio.
Spazio claustrofobico, ma anche rifugio e salvazione, l’isola è l’ambivalenza per eccellenza, pronta a rovesciarsi nel suo opposto: nascondiglio e prigione. Sull’isola c’è il castello, il maniero, la torre, perché la letteratura coltiva il piacere dell’effetto-matriosca: prigione nella prigione, isola nell’isola. Ma l’isola è appunto approdo per il naufrago, il suo sbarco dopo l’avventura mortale in balia degli irati flutti. Così agogna fuor di metafora letteraria chi viaggia verso Lampedusa, scoglio in mezzo a un mare che ci siamo abituati per secoli a chiamare nostrum.
L’isola è, prima ancora che uno spazio geografico – una terra emersa circondata dal mare –, un luogo mentale, sorgente inesauribile d’idee, immaginazioni e sogni. Indica l’isolamento, la differenza, la lontananza. È L’isola del tesoro di Stevenson, con grotte, foreste, pirati, trabocchetti e un’immensa ricchezza sepolta da scoprire e di cui impadronirsi. La letteratura trabocca di isole, dall’Odissea al Robinson Crusoe, dall’avventura tra dèi e mostri sino alla fondazione della nuova morale mercantile. Si va d’isola in isola, capitando in quella di Peter Pan, l’Isola-che-non-c’è, che fa il verso all’Utopia di Moore, paradiso che si può trasformare subito dopo in inferno dei viventi, sino ad arrivare all’isola di Montecristo, topos del riscatto e della vendetta.
Nello spazio chiuso, circondato da mari infidi, si celano i mostri del dottor Moreau di Wells o i bambini terribili del Signore delle mosche, utopia realizzata del sogno di un mondo di soli ragazzi. L’isola consente l’esperimento sociale, oltre che quello scientifico, proprio perché luogo altro, e in un qual senso circoscritto: prima che il contagio dilaghi c’è sempre un mare di mezzo, spazio aperto dove ogni malattia si stempera. Il mare oceano, che la circonda, è anche il luogo della possibilità ulteriore, labirinto marino in cui sperdersi, o invece rifugiarsi davanti al peggio, in attesa del meglio.
Spazio claustrofobico, ma anche rifugio e salvazione, l’isola è l’ambivalenza per eccellenza, pronta a rovesciarsi nel suo opposto: nascondiglio e prigione. Sull’isola c’è il castello, il maniero, la torre, perché la letteratura coltiva il piacere dell’effetto-matriosca: prigione nella prigione, isola nell’isola. Ma l’isola è appunto approdo per il naufrago, il suo sbarco dopo l’avventura mortale in balia degli irati flutti. Così agogna fuor di metafora letteraria chi viaggia verso Lampedusa, scoglio in mezzo a un mare che ci siamo abituati per secoli a chiamare nostrum.
L’isola è, prima ancora che uno spazio geografico – una terra emersa circondata dal mare –, un luogo mentale, sorgente inesauribile d’idee, immaginazioni e sogni. Indica l’isolamento, la differenza, la lontananza. È L’isola del tesoro di Stevenson, con grotte, foreste, pirati, trabocchetti e un’immensa ricchezza sepolta da scoprire e di cui impadronirsi. La letteratura trabocca di isole, dall’Odissea al Robinson Crusoe, dall’avventura tra dèi e mostri sino alla fondazione della nuova morale mercantile. Si va d’isola in isola, capitando in quella di Peter Pan, l’Isola-che-non-c’è, che fa il verso all’Utopia di Moore, paradiso che si può trasformare subito dopo in inferno dei viventi, sino ad arrivare all’isola di Montecristo, topos del riscatto e della vendetta.
Nello spazio chiuso, circondato da mari infidi, si celano i mostri del dottor Moreau di Wells o i bambini terribili del Signore delle mosche, utopia realizzata del sogno di un mondo di soli ragazzi. L’isola consente l’esperimento sociale, oltre che quello scientifico, proprio perché luogo altro, e in un qual senso circoscritto: prima che il contagio dilaghi c’è sempre un mare di mezzo, spazio aperto dove ogni malattia si stempera. Il mare oceano, che la circonda, è anche il luogo della possibilità ulteriore, labirinto marino in cui sperdersi, o invece rifugiarsi davanti al peggio, in attesa del meglio.
Spazio claustrofobico, ma anche rifugio e salvazione, l’isola è l’ambivalenza per eccellenza, pronta a rovesciarsi nel suo opposto: nascondiglio e prigione. Sull’isola c’è il castello, il maniero, la torre, perché la letteratura coltiva il piacere dell’effetto-matriosca: prigione nella prigione, isola nell’isola. Ma l’isola è appunto approdo per il naufrago, il suo sbarco dopo l’avventura mortale in balia degli irati flutti. Così agogna fuor di metafora letteraria chi viaggia verso Lampedusa, scoglio in mezzo a un mare che ci siamo abituati per secoli a chiamare nostrum.