Giorgio Boatti, La Stampa 8/11/2013, 8 novembre 2013
CAPISCE E SI ADEGUA COSÌ LA PIOVRA VINCE
«Ho capito troppo tardi che ci vuole la stessa intelligenza sia per diventare un milionario ladro che un milionario onesto. Di questi tempi, per rubare al prossimo ci vuole l’autorizzazione. Se potessi ricominciare da capo, prima mi assicurerei di avere quest’autorizzazione…»: le parole con cui Lucky Luciano (1897-1962), uno dei grandi gangster della prima metà del Novecento, sintetizzò tutta la sua parabola non avevano niente di autocritico. Tantomeno suonavano come un pentimento. Piuttosto coglievano l’evoluzione che avrebbe portato la piovra mafiosa a inserirsi in modo non occasionale non solo in aspetti cruciali del mercato finanziario internazionale ma in nodi rilevanti dell’intera società globalizzata.
L’evoluzione del fenomeno mafioso e, soprattutto, la strenua capacità della criminalità mafiosa di adattarsi a ogni contesto sociale e politico, di insinuarsi all’interno dei colossali ribaltamenti geostrategici della contemporaneità, è un tema affrontato negli ultimi anni da molte analisi e diversi saggi. In Patti scellerati, il saggio pubblicato da Utet di Jacques de Saint Victor, storico del diritto all’Université di Paris VIII, la serrata ricostruzione storica assume la coinvolgente connotazione di una «biografia della mafia», proprio perché sa cogliere e fissare le tappe di questa flessibilità dissimulatrice che ne contraddistingue le diverse età. È un’evoluzione che sta già nel suo sorgere, nel trapasso del Meridione d’Italia dal mondo statico dell’Ancien Régime alla modernità borghese dello Stato unificato. Poi si ribadisce nel crescere e maturare, mettendosi alla prova sia con l’internazionalizzazione avvenuta a metà del Novecento sia, in anni a noi vicini, con l’impressionante capacità di operare su ogni continente e settore economico, all’unisono con l’avvento del mondo globalizzato.
Una «biografia della mafia» così impostata non può che smentire ogni affresco che la veda contrapposta al suo tempo o al mondo che le sta attorno. Al contrario, ecco che Patti scellerati mette in luce, puntigliosamente, proprio l’impressionante capacità mafiosa di assimilare, assorbire, mimetizzarsi. Nel mondo che si fa globale la mafia non perde influenza o posizioni, non arretra: al contrario.
In questa realtà planetaria dove spesso i confini paiono liquefarsi, con le frontiere che sembrano continuare a esistere solo per i giudici, si amplia invece sempre di più la terra di nessuno aperta alle scorrerie. La mafia - ricorda Jacques de Saint Victor – trova varchi sempre più ampi. E da qui, sia in Europa sia oltre Oceano, entra in spicchi sempre più determinanti. Questo accade non solo nel mondo finanziario e immobiliare, nelle imprese attive nel trasferimento di tecnologie e nello smaltimento rifiuti, ma anche nelle sempre più ricche praterie dell’intrattenimento di massa.
In Patti scellerati si ricostruisce ad esempio lo schema iniziale, sperimentato agli albori del cinema negli studios di Hollywood, che consente al sindacato del crimine di utilizzare il mondo dello spettacolo come cavallo di Troia per mettere piede nelle cittadelle del potere. Il controllo delle maestranze consente in anni lontani alla mafia Usa di tenere in scacco molti produttori cinematografici, di imporre loro le star che godono della protezione dei boss e utilizzarle per entrare in contatto con i vertici del potere politico. Avviluppandoli così in condizionamenti e ricatti.
La stessa cosa avviene più tardi nel mondo dello sport, dove, scrive Jacques de Saint Victor, «è il calcio a costituire il terreno più propizio per queste relazioni pericolose». La tendenza, avviatasi negli scorsi decenni in Italia, è ormai endemica in tanti altri Paesi. Controllare un’importante squadra di calcio consente, grazie alla popolarità raggiunta, di godere di un ombrello protettivo rilevante. Efficace contro gli avversarsi e, talvolta, dissuasivo verso le incursioni della legge. E infatti de Saint Victor aggiunge che «il football di alto livello è oggi una delle vie di penetrazione delle pratiche mafiose in Francia…».
Un capitolo esemplare della capacità mafiosa di adattamento all’evolversi delle situazioni, anche le più complesse, viene individuato nella Russia post-sovietica: prima il grande bottino dell’era di Eltsin (il 12 febbraio 1993 il presidente russo dichiara «abbiamo strutture mafiose che stanno corrodendo la Russia da cima a fondo»). Poi il pugno duro di Putin che, pur non facendo arretrare criminalità e corruzione, induce alla migrazione le mafie rosse che preferiscono, per i loro affari, installarsi a Londra, a Praga, nella Costa Azzurra, ad Anversa.
Il saggio, uscito in francese come Un pouvoir invisible, arriva da noi con un altro titolo: un mutamento opportuno, visto che l’infiltrazione mafiosa, straripando in tanti fondamentali snodi, è sempre meno «invisibile». E a questo punto la sfida, ammonisce l’autore, «non è più esterna al sistema bensì perfettamente inerente ad esso». E - viene da aggiungere - alle democrazie in cui viviamo.