Francesco De Dominicis, Libero 8/11/2013, 8 novembre 2013
SFORANO TUTTI. PAGHIAMO SOLO NOI
La vulgata racconta che dietro la lavagna, a Bruxelles, c’è sempre l’Italia. Non c’è dubbio: sui conti pubblici non siamo i primi della classe. E infatti abbiamo pagato caro, e a più riprese, tutti gli sforamenti e le violazioni dei parametri imposti dall’Unione europea. Tra interventi sulle pensioni (basta ricordare la riforma Fornero di fine 2011 che ha portato a 67 anni il limite minimo per smettere di lavorare) e svariate stangate fiscali (l’Imu, la patrimoniale sui conti correnti mascherata da imposta di bollo: ancora roba del Governo di Mario Monti) il salasso si è sentito, eccome. Tuttavia, il nostro Paese non è proprio l’unico a sgarrare. Anzi. Da una parte o dall’atra sforano praticamente tutti. Diciamo che siamo in buona compagnia sul carro dei somari.
I documenti della Commissione europea consentono di realizzare una sorta di pagella. Un po’ inedita, per certi versi. Dalla quale emerge, appunto, che spesso anche membri illustri dell’Ue «barano» clamorosamente sui paletti europei, ma poi, a conti fatti, non subiscono alcuna punizione, o quasi. Germania e Francia, tanto per fare nomi pesanti, se ne fregano. Perché possono farlo? La ragione è politica: per violare le regole sui conti pubblici si contrattano deroghe e si pianificano le percentuali. Berlino e Parigi (ma non solo) riescono a battere i pugni meglio di Roma al tavolo di Bruxelles.
Il rigore sui conti pubblici.
Ecco alcuni esempi per capire meglio di cosa stiamo parlando. Il caso più eclatante è rappresentato dal rapporto tra deficit e prodotto interno lordo. Il tetto fissato coi parametri di Maastricht è il 3%. L’Italia è andata fuori strada e nel 2012, impiccandosi al rigore sui conti pubblici, si è rimessa in carreggiata. Un salasso per tutti, famiglie e imprese. Abbiamo fatto «i compiti a casa», come diceva spesso Monti. E così quella odiosa percentuale si fermerà al 3% a fine anno, scenderà al 2,7% l’anno prossimo e ancora al 2,5% nel 2015 secondo le previsioni della Commissione Ue. Su questo terreno la Germania ci fa un «cappotto»: 0,0%, 0,1% e 0,2%. Tuttavia, il nostro dato è migliore della media dell’area euro che prevede la terna 3,1%, 2,5% e 2,4% per il triennio 2013-2015. Ci sono, in effetti, ben dieci paesi che stanno peggio. A cominciare dalla Francia che a fine anno avrà il rapporto tra deficit e pil al 4,1% e che continuerà a essere «fuori legge» pure nel 2014, pur riuscendo a migliorare la performance del disavanzo portandolo al 3,8% e poi al 3,7% nel 2015.
Come la Francia, risultano «fuori legge» anche Grecia, Irlanda, Spagna, Cipro, Malta, Olanda, Portogallo, Slovenia e Slovacchia. Fin qui per rimanere tra i paesi dove circola l’euro. Fuori del recinto della moneta unica, i fuori legge fioccano: Croazia, Lituania, Ungheria, Polonia e, udite udite, Regno Unito (le previsioni indicano il deficit a 6,4%, 5,3% e 4,3%). Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha avuto il coraggio di dire la verità: l’assurdo obiettivo del 3% congela la crescita economica. «Lascia perplessi ha detto mercoledì che solo Italia e Germania ci stiano dentro».
Ma i tedeschi sgarrano sull’export. Andiamo avanti e scorriamo i dati fino in fondo.La tabella per certi versi più gustosa perché è quella che frega (per modo di dire) i tedeschi è relativa alla bilancia commerciale, dove si pesano esportazioni e importazioni. Il surplus, dice l’Ue, non deve essere superiore al 6% del pil: chi esporta una quota maggiore è «fuori legge». E a dare il «buon esempio», in questo senso, c’è proprio la Germania. Previsioni Ue alla mano, Berlino ignora i vincoli (per la verità, su questo versante lo fa da tempo) e quest’anno chiuderà il conto al 7% (solo sei mesi fa era previsto al 6,3%) e andrà avanti anche nei prossimi due anni con indicatori superiori ai paletti europei: il surplus sarà al 6,6% nel 2014 e al 6,4% l’anno successivo. Di fatto una violazione continua e programmata, con tanto di certificazione Ue.
Una sorta di «bollino blu» che Bruxelles, con le previsioni pubblicate pochi giorni fa dal commissario Olli Rehn, ha assegnato anche al Lussemburgo (6,7%, 6,8% e 5,8%) e all’Olanda (9,6%, 10% e 11%). Insomma, sulle esportazioni Germania, Lussemburgo e Olanda hanno ottenuto un sostanziale «semaforo verde» Ue: mani libere e chi s’è visto, s’è visto.
Il fardello del debito. Un altro fronte dove l’Italia risulta fanalino di coda (ma poi spieghiamo perché) è quello relativo al debito pubblico. Anche in questo caso, l’Europea lo misura in rapporto al prodotto interno lordo. Non ci giriamo intorno senza motivo: il nostro dato è il peggiore dopo quello della Grecia. La media dell’area euro è ampiamente sotto quota 100% e galleggia attorno al 95% per tutto il triennio 2013-2015. Il buco nei conti pubblici italiani si fermerà al 133% del pil quest’anno, l’anno prossimo salirà un po’ fino al 134% e poi calerà al 133,1% nel 2015. Atene deve fare i conti con una zavorra che supera sempre il 170% del prodotto interno lordo. Sopra quota 100 ci sono anche Belgio, Irlanda, Cipro e Portogallo. Dieci e lode, in questo caso, alla Germania (dato inferiore all’80%) e pure alla Francia (che balla sul 95%).
Ci sono, come accennato, precise spiegazioni. In sintesi: il problema italiano è lo stock del debito accumulato nel tempo e mai abbattuto. Un fardello che si autoalimenta con gli interessi da pagare ogni anno a banche d’affari e bot people. A guardare l’avanzo primario di bilancio (la differenza tra entrate e uscite, al netto della spesa per interessi), l’Italia non ha nulla da invidiare alla concorrenza. Le previsioni Ue ci mettono di fatto alla pari dei tedeschi: per l’Italia 2,3%, 2,8% e 3,1% sul pil, rispetto al 2,3% fisso della Germania. Contro una media Ue bassissima (al massimo 0,7% nel 2015).
Alla fine della giostra, non sfiguriamo affatto. Il punto, come ha spiegato Squinzi, è che «la richiesta di maggiore flessibilità sul tetto del deficit è decisione politica». Come dire tocca al Governo di Enrico Letta alzare la voce. Il 15 novembre la Commissione Ue si riunisce per emettere i giudizi sulle manovre dei paesi membri. Di fatto faranno le pagelle dei buoni e dei cattivi. Qui abbiamo giocato d’anticipo.