Ferdinando Cotugno, Vanity Fair 7/11/2013, 7 novembre 2013
LA VAGINA DI ADELE
Voyeurismo o conseguenza di un realismo estremo? In altre parole: la lunga ed esplicita scena di sesso di La vita di Adele andava fatta o è inutile e troppo lunga? Il dibattito va avanti da quando il film di Abdellatif Kechiche ha vinto la Palma d’oro al Festival di Cannes, con Léa Seydoux, la coprotagonista, che ha anche accusato il regista («Mi sono sentita come una prostituta»). Di certo, anche se non ve ne siete accorti al cinema, qualcosa manca: le parti più intime delle due ragazze. Il regista voleva il massimo del realismo nel raccontare la passione delle protagoniste, senza esporre la Seydoux e Adèle Exarchopoulos alla pornografia. Come fare allora? La risposta è stata: protesi vaginali in lattice. Per realizzarle, ha chiamato un talento francese del make-up cinematografico, Pierre Olivier Persin, che di solito si occupa di zombie (ha realizzato quelli di World War Z). Avrebbe potuto comprarle su internet, protesi simili a quelle del film si trovano a meno di 300 euro, ma il regista voleva il massimo del realismo vaginale. Così il truccatore ha creato dei calchi in gesso sui corpi delle ragazze. Su questi calchi ha modellato e colorato le protesi in latex, da indossare a mo’ di mutande. Per renderle perfette, poi ha inserito una manciata di peli pubici posticci. Et voilà, il gioco è fatto: realismo totale e pudenda coperte.