Stefano Folli, Il Sole 24 Ore 7/11/2013, 7 novembre 2013
IL CASO DE BLASIO IRROMPE A SINISTRA E CAMBIA IL DIBATTITO SUI POPULISMI
Da ieri la sinistra, o almeno una parte di essa, ha un nuovo faro: il neo-sindaco di New York Bill De Blasio. Nella stagione in cui si mette sotto accusa il "populismo" del vecchio continente, spesso coincidente con l’anti-europeismo, ecco che prende forma dall’altra parte dell’oceano un personaggio carismatico che vince a valanga contro il competitore repubblicano. Anche se, volendo applicare a quel voto il gergo politico italiano, dovremmo dire che a New York ha vinto il famoso "partito dell’astensione": infatti per De Blasio si è espresso poco più di un milione di votanti, contro i 3,2 milioni di elettori democratici presenti in città.
Il nuovo sindaco è l’espressione moderna di una sinistra americana che è senza dubbio populista secondo i canoni di una certa dialettica politica di casa nostra. Tuttavia De Blasio s’inserisce a pennello nella tradizione statunitense e il suo «nessuno resterà indietro» si è dimostrato uno slogan semplice ed efficace.
Ieri è stato Nichi Vendola a innalzare la nuova bandiera, proponendo il sindaco americano come modello a una sinistra in perenne crisi di idee. Il risultato è che fra breve rischiamo di avere un duello ideale fra Renzi che si ispira a Tony Blair e tutti coloro che per contestarlo potrebbero affidarsi all’esempio De Blasio. Ma al di là di questo aspetto mediatico e in fondo inconsistente, resta un interrogativo di fondo: perché, secondo un’ottica italiana ma non solo, il populista De Blasio è una figura positiva mentre gli altri, quelli evocati da Enrico Letta, sono figure negative da combattere prima e dopo le elezioni europee?
Grillo, magari Berlusconi, Marine Le Pen e via elencando sono i populisti "pericolosi" messi sotto accusa nell’Europa di oggi. Qual è la differenza fra le due sponde dell’Atlantico? La prima è che gli americani hanno eletto un sindaco, sia pure della città più importante, non hanno mandato al Parlamento di Bruxelles un manipolo di di avversari dell’Europa. La seconda è che l’Unione di oggi annaspa nella deflazione imposta dalle politiche di rigore ed è questo a rendere insidiosa l’esplosione di un malcontento che va sotto il nome di "populismo", ma che in realtà, sullo sfondo della crisi economica e sociale, può facilmente trasformarsi in una rivolta contro i limiti della democrazia e i suoi istituti.
Il populismo "buono" di De Blasio è figlio dell’ottimismo americano, ma anche della ripresa dell’economia oltreoceano. Il populismo "cattivo", diciamo così, del vecchio continente è invece figlio della paura e dell’incertezza. Il primo appartiene a una illustre storia politica di cui l’espressione più alta fu il Roosevelt della Grande Depressione; il secondo ha scandito la vicenda del Novecento e ha alimentato quasi tutte le spinte autoritarie, a cominciare dal nostro fascismo.
Tuttavia – lo ha scritto Angelo Panebianco – non si risolve il problema limitandosi a indicare il pericolo populista. Forse occorre indicare un’altra idea di Europa e la strada per realizzarla. Lo sta facendo da qualche tempo a questa parte Romano Prodi con i suoi scritti. Ma a quanto pare è un compito troppo gravoso per le attuali classi dirigenti. È più facile accapigliarsi sulla seconda rata dell’Imu o sulla storia infinita della decadenza di Berlusconi da senatore. O su una "gaffe" verbale, una delle tante, dello stesso Berlusconi.