Paola Del Vecchio, il Messaggero 7/11/2013, 7 novembre 2013
BORGES INEDITO E IL TANGO INDECENTE
LA CONFERENZA
MADRID
«Ascoltando un vecchio tango sappiamo che ci sono stati uomini coraggiosi. Il tango ci ha dato un passato immaginario. Studiarlo non è inutile, è studiare le vicende dell’anima argentina». La voce di Jorge Luis Borges è vibrante anche se a tratti stanca e disturbata dal clamore dei clacson in strada. Eppure è senza dubbio la sua. Il tango secondo il padre de El Aleph, in un documento inedito: cinque ore di conferenze sul “pensiero triste che si balla”, tenute da Borges a Buenos Aires, nel 1965. Allora la fama dell’autore di La cifra aveva già superato i confini dei cinque continenti, Borges aveva già perduto la vista e imparato a comporre testi a memoria. Ma aveva davanti ancora venti anni di intensa attività letteraria. Delle conferenze si erano perdute le tracce per mezzo secolo. Fino a quando i vecchi nastri registrati sono finiti nel 2002 nelle mani dello scrittore basco, Bernardo Atxaga, che li ha dati in legato alla Casa del Lector di Madrid, diretta dal Cesar Antonio Molina, che li ha presentati al pubblico, alla presenza di un’emozionata Maria Kodama, la vedova di Borges. Quasi cinque ore di registrazione, che la Fondazione Sanchez Ruperez con la Fondazione Borges, con l’editrice Anaya, pubblicheranno in un audio-libro. Un piccolo tesoro giunto dopo varie peripezie ad Atxaga, che inviò i nastri al cattedratico di Oxford e biografo di Borges, Edwin Williamson, che ha certificato l’autenticità degli inediti.
Con la sua vasta erudizione, Borges parla delle origini del tango, dipana storie, recita versi, canticchia tanghi della vecchia guardia, che erano i suoi preferiti, in una narrazione in cui, ha spiegato la Kodama «ripete la struttura borgiana de “El Aleph”: parte da un argomento e lo va sgranando, il che lo porta a parlare d’altro. Per Borges la conoscenza era questo, per nulla rigida o incasellata». «Gli piacevano i tanghi della vecchia guardia, perché non avevano parole e, se le avevano, erano di doppio senso» ha ricordato Maria Kodama «Invece detestava quelli di Carlos Gardel, perché diceva che con il tango era diventato malinconico e piagnucolone». Lo stesso Borges ricorda nelle lezioni: «I primi tanghi non avevano parole o avevano quelle che potremmo definire testi decorosamente ineffabili o parole indecenti o meramente malandrine», e intanto canticchia «venite a vedere, signori…»
Tango e “gaucho” sono due termini che identificano la patria argentina nel mondo. E Borges, pur preferendo le milonghe, ne aveva scritto uno nel 1929. Nelle conferenze teorizza sulle origini del tango, che individua intorno al 1880.
«Il tango – ricorda Borges - esce dalle case di malaffare, in tutti i quartieri della città, c’era gente che le frequentava per giocare a carte, bere un bicchiere di birra o vedere gli amici..». «Ha questa radice infame e poi i signorini per bene lo portarono a Parigi, dove fu approvato e reso decente. E con il tempo, quando a Parigi cominciarono a ballarlo, le donne del Barrio Nord di Buenos Aires, per snobismo, cominciarono a farlo anche in Argentina». «Il tango – dice ancora – perse i tagli e le fenditure iniziali e diventò una sorta di ballo voluttuoso… e comparve uno strumento nuovo, la fisarmonica, che non si conosceva nelle prime orchestre». Ma il pensiero triste che si balla è solo il pretesto, per Borges, per attingere alla sua immensa ed erudita memoria, «per parlare di Walt Whitman, di Lugones, Homero, del Modernismo, di Ruben Dario, Juan Ramn Jimenez, di Valle Inclan, della milonga», ha rilevato Cesar Antonio Molina. Aveva l’ intenzione, poi naufragata, di compilare un dizionario dei termini legati al tango. L’aneddoto rivelato dalla vedova è che Borges non lo ballava e che gli preferiva il jazz, i gospel o la musica di Brahms. Ma questo non gli impedì di ratificare nelle sue lezioni: «Il tango fu un simbolo, c’è qualcosa nell’animo argentino, salvato da questi umili e a volte anonimi compositori, qualcosa che tornerà…credo che studiare il tango non sia inutile, è studiare le diverse vicende dell’anima argentina».
Paola Del Vecchio